Infortunio in itinere e risarcimento del danno

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Infortunio in itinere e risarcimento del danno: la Corte di cassazione ha affermato che anche l’infarto può essere qualificato come “infortunio in itinere”.

Di seguito, approfondiamo le ragioni di tale affermazione.

La vicenda

Durante un viaggio di lavoro in Cina, un dipendente di una società è stato trovato morto nella propria camera di albergo.

La morte sarebbe avvenuta per infarto, causato da una situazione di forte stress lavorativo; determinatasi a seguito della cancellazione di un volo aereo per maltempo che aveva costretto il dipendente ad una lunga attesa in aeroporto, ad un pernottamento di fortuna in un albergo e ad un successivo viaggio in treno di oltre 700 km, ove aveva dovuto subito partecipare ad una importante riunione; dopo un periodo di veglia di quasi 24 ore consecutive.

Le richieste di risarcimento dei parenti del dipendente sono state inizialmente respinte; mentre la Corte di cassazione ha accolto il loro ricorso.

Le motivazioni della Corte

Secondo la Cassazione, l’infarto può configurare infortunio quando è eziologicamente collegato ad un fattore lavorativo.

Pertanto, l’infarto può essere qualificato quale infortunio in itinere e dar corso al relativo risarcimento del danno.

La connessione non è peraltro esclusa dal contributo causale di fattori preesistenti o contestuali.
Sussiste, cioè, anche nel concorso di altre cause, ove pure queste abbiano origine diversa e interna.

La preesistente condizione patologica del lavoratore può, semmai, rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l’attività lavorativa e l’infortunio.
Questo è un aspetto che ovviamente deve essere attentamente valutato dal datore di lavoro che sia venuto a conoscenza dello stato di salute precario del proprio dipendente.

Precisa poi la Corte che, in base alla normativa sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, allorchè si discuta di infarto del miocardio occorso in occasione della prestazione lavorativa, anche lo stress psicologico e ambientale può integrare la causa violenta prevista dall’art. 2 del D.P.R. 1124/1965.

L’onere della prova

Si deve infine considerare che la causa della morte ed il collegamento eziologico con l’attività lavorativa debbano essere dimostrati.

A tale riguardo, la Cassazione ha precisato  che nella valutazione dei mezzi di prova tali collegamenti possano essere dimostrati anche con un grado, se non di certezza, di probabilità qualificata.


Potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →

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