Responsabilità medica e linee guida

Tempo di lettura: 3 minuti
4
(3)

HOME » NOVITA’ NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI » Responsabilità medica e linee guida

Responsabilità medica e linee guida: l’evoluzione normativa ha imposto alla giurisprudenza penale di affrontare una serie di questioni.

Recentemente, la Corte di cassazione s’è soffermata sulla necessità di corretta individuazione delle linee guida, per poter valutare la responsabilità colposa dei medici.

Di seguito, vediamo di chiarire di che si tratta.

La responsabilità medica in ambito penale: dal Decreto Balduzzi alla Legge Gelli – Bianco

Prima di entrare nel merito della questione, è opportuno inquadrare l’ambito normativo che regola la responsabilità medica in materia penale.

Nel 2012 il Decreto Balduzzi ha introdotto la distinzione fra colpa grave e colpa lieve del medico che ha cagionato lesioni o la morte del paziente.

Per la prima volta, la responsabilità medica in ambito penale è stata limitata ai casi di “colpa grave” (fatto salvo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.).
In concreto, il medico non fosse penalmente perseguibile in caso di colpa lieve e qualora si fosse attenuto “a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”.

Le disposizioni introdotte dal Decreto Balduzzi sono state successivamente abrogate con l’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco, nel 2017, e l’introduzione di una nuova fattispecie nel codice penale, l’art. 590 sexies c.p.,

Questo il suo testo: “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

A fronte di tale successione di leggi in un tempo piuttosto contenuto, si è discusso in giurisprudenza su quale delle due norme fosse più favorevole al reo.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno poi risolto il contrasto con la sentenza n. 8770/2018, che ha sancito che il Decreto Balduzzi sia più favorevole al reo.

La vicenda

Ciò premesso, possiamo ora occuparci della vicenda sulla quale la Corte di Cassazione ha offerto le proprie precisazioni.

Il fatto riguardava una radiologa piemontese, che è stata ritenuta responsabile per colpa grave nella lettura e refertazione di una TAC.

Il medico, nella refertazione, aveva escluso la presenza di lesioni encefalitiche e sanguinamento intracranico a carico di un paziente.
Sulla base di tale esclusione, il medico di Pronto Soccorso aveva dimesso il paziente, che dopo pochi giorni era deceduto a causa di un edema cerebrale.

A fronte dell’assoluzione resa dal Tribunale, su richiesta della parte civile la Corte d’Appello aveva condannato il medico; e questi aveva fatto ricorso in cassazione.

Le motivazioni della Corte di cassazione

Per la Corte di cassazione, la responsabilità del medico è stata esclusa in conseguenza dell’erronea individuazione delle linee guida o comunque delle buone pratiche clinico-assistenziali che avrebbero dovuto essere invece analizzate.
In primo e secondo grado venivano infatti, erroneamente, analizzate le linee guida predisposte dal reparto di Pronto Soccorso.

Il Collegio ha sottolineato che l’indagine primaria demandata al Giudice implichi la corretta selezione proprio delle linee guida.
Solo a queste va rapportata la condotta tenuta in concreto dal medico e poi valutata la configurabilità dell’addebito di negligenza o imperizia nella refertazione.

E’ infatti nell’ambito delle sue specifiche competenze professionali, nella specie di radiologa, che l’indagine doveva essere condotta.
Ciò in ragione del fatto che il medico radiologo abbia competenze ben diverse da quelle del medico di Pronto Soccorso.

La valutazione doveva invece essere resa indagando se la prevenuta si fosse o meno discostata dai parametri relativi all’esigibilità della prestazione richiestale, comprensiva non solo dell’esecuzione della tomografia encefalica, ma altresì del relativo referto.

Nel caso di specie, ha sottolineato la Cassazione, a fronte dei sintomi presentati dal paziente, la loro corretta individuazione avrebbe consentito di apprezzare la configurabilità della colpa.
E, a seguire, individuarne il grado e, ove rientrante nell’ambito della rilevanza penale, il nesso di causalità con la morte dell’uomo.


Per ulteriori approfondimenti sul tema della colpa medica, potete leggere il testo integrale della sentenza QUI → e pure contattare l’avv. Andrea Spreafico.

(torna alla pagina delle notizie)

Ti è stata utile la lettura di questa articolo?

Clicca sulle stelle per dare un voto.

Media del voto 4 / 5. Numero dei voti: 3

Sii il primo ad esprimere un voto.