Condannato ex D.Lgs. 231/2001 chi risparmia sulla sicurezza

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha confermato che deve essere condannato ex D.Lgs. 231/2001 chi risparmia sulla sicurezza.

Nel seguito, dopo un accenno alla disciplina delle responsabilità delle persone giuridiche con particolare riferimento agli infortuni, analizziamo i contenuti della sentenza per meglio comprendere l’ambito della responsabilità individuata dalla Cassazione.

Il D.Lgs. 231/2011: Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (gli Enti)

Il D.Lgs. 231/2001 ha introdotto la responsabilità amministrativa degli Enti.
Ciò significa che l’ente può essere chiamato a rispondere di taluni reati commessi a suo profitto o vantaggio dai dirigenti o dalle persone sottoposte alla loro vigilanza.

Tale disciplina:

  • si applica agli Enti con personalità giuridica, alle Società e Associazioni anche se prive di personalità giuridica.
  • non si applica invece allo Stato, agli Enti pubblici territoriali, agli altri Enti pubblici non economici e a quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

L’Ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

  1. da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
  2. da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui al precedente n. 1.

L’Ente non risponde nel solo caso in cui le persone sopra elencate abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Le sanzioni previste dal D.Lgs. 231/2001

Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono quelle elencate dall’art. 9 del D.Lgs. 231/2001:

La sanzione pecuniaria

Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.

La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.
L’importo di una quota va da un minimo di 258,23 Euro ad un massimo di 1.549,37 Euro.

Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.

Nella commisurazione della sanzione pecuniaria, il Giudice determina il numero delle quote tenendo conto delle seguenti circostanze:

  • gravità del fatto
  • grado della responsabilità dell’Ente
  • attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

L’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’Ente, allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.

Le sanzioni interdittive

In particolare, le sanzioni interdittive sono:

  • interdizione dall’esercizio dell’attività;
  • sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  • divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  • esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  • divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

  1. l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
  2. in caso di reiterazione degli illeciti.
Esclusione della responsabilità dell’Ente

L’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 disciplina i casi in cui l’Ente non risponde se prova che:

  • l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  • il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
  • le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
  • non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’OdV.
Il D.Lgs. 231/2001 e gli infortuni sul lavoro

Particolare interesse ha sempre rivestito il tema dell’applicazione delle norme del D.Lgs. 231/2001 in occasione degli infortuni sul lavoro.

In caso di condanna per omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, l’art. 25 septies del D.Lgs. 231/2001 regola le sanzioni pecuniarie ed interdittive a carico dell’Ente.

In particolare, la norma prevede che:

  • in caso di condanna per l’art. 589 c.p. (omicidio colposo), commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote e si applicano le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma II per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno
  • in caso di condanna per l’art. 590 comma III c.p. (lesioni colpose aggravate), commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote e si applicano le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma II per una durata non superiore a sei mesi.

Le sanzioni irrogabili in caso di infortunio sono particolarmente gravose, sia in termini economici che in termini di riflessi pregiudizievoli per l’esercizio dell’attività.


La “colpa di organizzazione” secondo le motivazioni della Corte di Cassazione

Con la recente sentenza n. 21704 del 22 Maggio 2023, la Corte di Cassazione torna sul tema dell’applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 231/2001 in materia di infortuni sul lavoro, affermando che debba essere condannato ex D.Lgs. 231/2001 chi risparmia sulla sicurezza.
E chiarisce cosa debba intendersi in senso normativo per “colpa di organizzazione“.

Essa è fondata sul rimprovero derivante dall’ inottemperanza, da parte dell’Ente, dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo.

In particolare, indica la Corte, tali accorgimenti devono essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli.

Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli Enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o inidoneità degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione.
E’ invece necessaria la dimostrazione della “colpa di organizzazione“, che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato.

L’Ente risponde quindi per fatto proprio.
La responsabilità dell’Ente – per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata mediante individuazione di una “colpa di organizzazione“: ossia, dimostrandosi che l’Ente non abbia predisposto accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.
Solo il riscontro di un tale deficit organizzativo può consentire l’imputazione all’Ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.

La Cassazione ha inoltre chiarito che i criteri di imputazione oggettiva previsti dal D.Lgs. 231/2001, ovvero l’interesse e il vantaggio, vadano riferiti alla condotta del soggetto agente e non all’evento.
Ciò in conformità alla diversa conformazione dell’illecito, essendo possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere a istanze funzionali a strategie dell’Ente, nonché essendovi perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’Ente.

Pertanto, deve essere condannato ex D.Lgs. 231/2001 chi risparmia sulla sicurezza, traendone appunto un vantaggio quale il risparmio di spesa o la riduzione dei tempi di lavorazione.


Potete leggere la versione completa della sentenza della Corte di Cassazione QUI →

Per approfondimenti od assistenza sugli argomenti trattati in questo articolo potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

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