La successione dei contratti di lavoro interinale all’esame della Corte di cassazione.
La recentissima sentenza n. 29570/2022 della Sezione Lavoro ha affrontato, in modo chiaro, il rapporto tra normativa europea e normative nazionali.
Ne riprendiamo i punti più importanti.
La vicenda
Un lavoratore italiano ha convenuto in giudizio una società italiana affermando di avere prestato la propria attività di lavoro somministrato in favore di quest’ultima dal 2012 al 2016, in ragione di plurimi e consecutivi contratti a termine.
Ha quindi chiesto l’accertamento dell’ illegittimità dei suddetti contratti e del conseguente diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società utilizzatrice.
Dopo il rigetto delle sue domande da parte del Tribunale e della Corte d’Appello che hanno escluso di poter configurare un unico rapporto di lavoro in presenza dei plurimi contratti, ha proposto ricorso in cassazione.
Lavoro interinale
Per comprendere le tematiche trattate dalla sentenza, è opportuno soffermarsi brevemente sulle principali caratteristiche dell’istituto.
La somministrazione di lavoro è disciplinata dal D.Lgs. 81/2015 e coinvolge tre soggetti:
- un’agenzia autorizzata (c.d. somministratore);
- un soggetto (c.d. utilizzatore), che si avvale dei servizi del somministratore per reperire personale;
- uno o più lavoratori (c.d. somministrati o in somministrazione), assunti dal somministratore e da questi inviati in missione presso l’utilizzatore.
Si tratta, dunque, di un istituto complesso, all’interno del quale si rinvengono due distinti rapporti contrattuali:
- il contratto commerciale di somministrazione, concluso tra somministratore e utilizzatore, e che ha natura commerciale e può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato;
- il contratto di lavoro stipulato tra somministratore e lavoratore somministrato, che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato.
La struttura contrattuale della somministrazione
La struttura contrattuale della somministrazione comporta una particolare ripartizione dei poteri e degli obblighi datoriali:
- il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori è esercitato dall’utilizzatore, posto che il lavoratore svolge la propria attività nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’impresa utilizzatrice (art. 30);
- il potere disciplinare è riservato al somministratore, al quale l’utilizzatore comunica gli elementi che formano oggetto della contestazione disciplinare (art. 35, comma 6);
- in tema di rischi per la sicurezza e la salute, gli obblighi informativi e l’addestramento del lavoratore sono a carico del somministratore, salva diversa previsione contrattuale (art. 35, comma 4);
- la retribuzione viene versata direttamente dal somministratore e a questi rimborsata dall’utilizzatore, oltre agli oneri previdenziali (art. 33, comma 2);
- anche gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi e assistenziali sono a carico del somministratore (art. 37);
- l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo diritto di rivalsa verso il somministratore (art. 35, comma 2);
- ricade sull’utilizzatore la responsabilità per danni arrecati a terzi dai lavoratori nello svolgimento della prestazione lavorativa (art. 35, comma 7).
Chiariti questi aspetti, di seguito analizziamo la sentenza della Cassazione.
La sentenza della Corte di cassazione
La successione dei contratti di lavoro interinale è quindi stata sottoposta all’esame della Corte di cassazione.
La Corte di cassazione, con una lunga ed articolata motivazione, ha spiegato che in caso di “missioni successive” – ossia di una pluralità di contratti successivi, in forza dei quali il medesimo lavoratore viene inviato presso la medesima utilizzatrice – occorra verificare se tali rapporti non eludano la natura interinale dei rapporti.
In tema di somministrazione di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 81/2015 ha eliminato ogni limite espresso all’utilizzo in missioni successive dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice.
La normativa del 2015 in particolare:
- non subordina la legittimità della somministrazione di lavoro a tempo determinato all’esistenza di causali giustificative
- non individua un termine di durata massima delle missioni (contrariamente a quanto stabilito dall’art. 19 per il contratto di lavoro a tempo determinato)
- non pone limiti alle proroghe e ai rinnovi (previsti invece per il contratto a tempo determinato dall’art. 21)
- prevede unicamente limiti quantitativi di utilizzazione (art. 31, comma 2), la cui individuazione è rimessa ai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore.
I rapporti tra direttive europee e normativa nazionale
Per la Corte però la normativa nazionale deve essere esaminata conformemente alla normativa Europea.
Secondo le indicazioni della Corte di Giustizia nell’ambito dei parametri della direttiva 2008/104 spetta a uno Stato membro garantire che il proprio ordinamento giuridico nazionale contenga misure idonee a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione al fine di prevenire il ricorso a missioni successive con lo scopo di eludere la natura interinale dei rapporti di lavoro disciplinati
dalla direttiva 2008/104.
Il fatto che il D.Lgs. n. 81 del 2015, e prima ancora il D.Lgs. n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem.
La Corte di Giustizia, nelle sentenze del 14 ottobre 2020 e del 17 marzo 2022, ha interpretato la direttiva 2008/104 mettendo in risalto, quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale, il carattere di temporaneità.
Non avrebbero tale carattere le missioni successive che si protraggano per una durata che non possa, secondo canoni di ragionevolezza, considerarsi temporanea, avuto riguardo alla specificità del settore e alla esistenza di spiegazioni obiettive del ricorso reiterato a questa forma di lavoro.
Una interpretazione conforme della normativa interna impone, quindi, di verificare se, nel caso concreto, anche sulla base degli indici rivelatori indicati dalla Corte di giustizia, nonostante l’intervenuta decadenza dall’ impugnativa del singolo contratto, il successivo e continuo invio mediante missioni del medesimo lavoratore possa condurre ad un abusivo ricorso all’istituto della somministrazione.
Potete leggere il testo della sentenza QUI →
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