La Corte di cassazione ha specificato la definizione di rifiuti da cava

Tempo di lettura: 4 minuti
4
(2)

HOME » NOVITA’ NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI » La Corte di cassazione ha specificato la definizione di rifiuti da cava

La Corte di cassazione, con la (lunga e complessa) sentenza del 20 Settembre 2022 n. 34630, ha specificato la definizione di rifiuti da cava.

Da anni, il tema dei rifiuti è interessato sia a modifiche normative sia ad interventi della giurisprudenza.
Con la sentenza in esame, la Cassazione approfondisce i temi connessi alle cave, autorizzate e non.

Trattandosi di un argomento vasto e tecnicamente complesso, Vi forniamo i cenni di maggior rilievo della decisione; lasciando poi che gli interessati ci contattino per gli eventuali necessari approfondimenti.

La vicenda

Nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto la violazione della normativa di cui D.Lgs. n. 152/2006, la Procura della Repubblica di Arezzo ha impugnato un provvedimento con il quale il Tribunale aveva ritenuto di escludere le terre e rocce da scavo dalla disciplina dei rifiuti nel caso in cui l’attività rimanesse nell’ambito dello sfruttamento di un sito qualificabile come cava, autorizzata o meno.

Per la Procura, applicando la tesi del Tribunale, l’attività di sfruttamento di cave non autorizzate sarebbe del tutto libera da ogni regolamentazione, non applicandosi le disposizioni di cui all’art. 183 comma I lett. a) del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Ciò salvo che sussistano i requisiti di un sottoprodotto ex art. 184 bis del D.Lgs. citato o del rifiuto cessato ex art. 184 ter del medesimo D.Lgs.

La Corte di cassazione ha scelto di ricostruire nei dettagli la materia, prima di esporre le ragioni della propria decisione.

L’inquadramento normativo

Il sistema normativo riguardante l’attività di cava è articolato a livello statale e regionale.
Trova i principali atti normativi nazionali nelle seguenti disposizioni:

  • Regio Decreto 29 Luglio 1927 n. 1443
  • Decreto legislativo n. 117 del 30 Maggio 2008 riguardante (“‘Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE“)
  • Decreto interministeriale 16 Aprile 2013, relativo alle “Modalità per la realizzazione dell’inventario nazionale di cui all’art. 20, nel Decreto legislativo 30 Maggio 2008, n. 117, recante attuazione della direttiva 2006/21/CE, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE“.

La definizione di cava

In tali provvedimenti non si rinviene una specifica definizione di cava, in termini di modalità di realizzazione della stessa.

Nel Regio Decreto n. 1443 è elaborata una nozione incentrata sulle lavorazioni che la caratterizzano.
All’art. 2 è stabilito che “le lavorazioni indicate nell’art. 1 si distinguono in due categorie: miniere e cave” e che appartiene alle cave la coltivazione:

  • delle torbe;
  • dei materiali per costruzioni edilizie, stradali ed idrauliche;
  • delle terre coloranti, delle farine fossili, del quarzo e delle sabbie silicee, delle pietre molari, delle pietre coti;
  • degli altri materiali industrialmente utilizzabili ai termini dell’art. 1 e non compresi nella prima categoria”.

La definizione elaborata nella giurisprudenza di legittimità così statuisce: “cavà in senso tecnico qualunque luogo in cui mediante tagli ed escavazioni si pratichi l’estrazione di materie esistenti sotto il suolo o di materie minerali affioranti”.

La differenza tra miniera e cava si individua quindi nella tipologia del giacimento da coltivare.
E’ pertanto erroneo ricondurre le miniere alle attività estrattive da svolgere nel sottosuolo e le cave a quelle da svolgere in superficie.

Le norme europee in materia

Fatte queste premesse, la Cassazione osserva che nel corso degli utlimi decenni l’attenzione alla tutela del Pianeta sia profondamente mutata, nel contesto di una prospettiva, culturale e normativa, che lo considera come un bene finito, da tutelare nel quadro di uno sviluppo consapevole.

Con la conseguente presa di coscienza che l’attività di cava, come quella mineraria, oltre ad assumere rilievo economico sia anche all’origine di problemi ambientali.

I quantitativi di rifiuti da attività estrattiva costituiscono invero possibili diffuse fonti di inquinamento; e i siti estrattivi rilevano altresì sotto il profilo della necessaria verifica e controllo della stabilità geotecnica ed idrogeologica, oltre che della tutela degli ecosistemi e del paesaggio.

A livello Europeo, tale consapevolezza si è tradotta nella adozione della direttiva 2006/21/CE del 15 Marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (che modifica la precedente 2004/35/CE).
Il suo art. 4 comma I stabilisce che:
Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinchè i rifiuti di estrazione siano gestiti senza pericolo per la salute umana e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora e senza causare inconvenienti da rumori o odori, senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Gli Stati membri devono inoltre adottare le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti
“.

La sentenza della Corte di cassazione

Così ricostruito l’ambito normativo d’interesse, è possibile individuare i criteri che regolano la materia dei rifiuti da cava.

La Corte rileva che il D.Lgs. n. 117 del 2008 – espressamente citato dall’art. 185 comma II lett. d) del D.Lgs. n. 152/2006 – consente l’esclusione dell’applicazione delle norme previste dalla parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006 dei rifiuti risultanti da:

  • prospezione
  • estrazione
  • trattamento
  • ammasso di risorse minerali
  • sfruttamento delle cave.

Tale esclusione deve però intendersi subordinata alla applicazione della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 117/2008, diretta anch’essa a garantire l’ambiente rispetto alla gestione di rifiuti delle industrie estrattive.

Per la Cassazione, la valorizzazione del richiamo contenuto nell’art. 185 del D.P.R. n. 117/2008 assume pertanto una portata tutt’altro che formale.
Si deve infatti ritenere che la deroga operi solo in presenza di una disciplina di rinvio, come tale applicata e applicabile nel quadro delle sole attività di cava autorizzate.

Laddove, al contrario, manchino le autorizzazioni amministrative, non potrà operare la deroga.

Pertanto, per la Cassazione deve affermarsi che:

  • i prodotti derivanti dalla attività estrattiva autorizzata restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere (D.Lgs. n. 117/2008)
  • ai rifiuti che non derivano direttamente dal ciclo produttivo di estrazione e connessa pulitura delle cave resta applicabile la normativa del D.Lgs. n. 152/2006.

Ha infine precisato la Corte che l’attività di sfruttamento della cava non deve confondersi con la lavorazione successiva dei materiali, in relazione alla quale trova sempre applicazione il D.Lgs. n. 152/2006.


Potete leggere il testo della sentenza QUI →

(torna alla pagina delle notizie)

Ti è stata utile la lettura di questa articolo?

Clicca sulle stelle per dare un voto.

Media del voto 4 / 5. Numero dei voti: 2

Sii il primo ad esprimere un voto.