La diffamazione tramite Whatsapp: è reato pubblicare nel proprio “stato” espressioni diffamatorie rivolte ad una persona specifica.
Il fatto
La vicenda trae origine dalla denuncia di una donna che ha lamentato la pubblicazione nello “stato” di altro utente della applicazione Whatsapp di frasi ed espressioni ingiuriose a lei specificatamente rivolte.
La diffamazione
Innanzitutto, è bene comprendere quali siano gli elementi necessari perchè vi sia “diffamazione”.
Il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) si consuma allorchè un soggetto in presenza di più persone, nel parlare di un altro soggetto, usi frasi ingiuriose tali da ledere la sua reputazione.
Pertanto, gli elementi necessari possono essere così riassunti:
- la comunicazione rivolta ad almeno una persona
- la presenza di almeno altre due persone in grado di ricevere anch’esse tale comunicazione
- i contenuti “offensivi” della comunicazione.
Lo “stato” di Whatsapp
La diffamazione tramite Whatsapp è stata spesso oggetto di trattazione da parte della giurisprudenza.
Ma le questioni analizzate nella sentenza in commento sono nuove; ed interessanti.
Per comprenderle, è necessario sapere cosa s’intenda per “stato” dell’applicazione Whatsapp.
Si tratta di un servizio dell’applicazione che permette all’utente di pubblicare messaggi di testo o foto o video che, a seguito della pubblicazione, divengono liberamente visibili per 24 ore a tutti i contatti della rubrica.
La sentenza della Corte di cassazione
La Corte di cassazione, come abbiamo accennato, s’è spesso occupata dei reati commessi tramite Whatsapp.
Nella pronuncia in commento, il Collegio non esamina l’offensività dei contenuti pubblicati dall’utente nel proprio “stato”.
Ma si sofferma sul requisito della loro “diffusività” ed afferma che la pubblicazione nello “stato” di Whatsapp consenta a tal genere di comunicazioni di diffondersi liberamente a tutti i contatti presenti nella rubrica dello smartphone dell’utente.
Pertanto, qualora un utente pubblichi nello proprio “stato” contenuti ingiuriosi riferibili specificatamente ad un altro utente, integra il delitto di diffamazione.
All’opposto, segnaliamo che in altre recenti sentenze la Cassazione abbia ritenuto l’assenza del requisito della diffusività nel caso di comunicazioni inviate a gruppi di utenti.
Potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.