La demolizione delle opere abusive realizzate in zona vincolata è obbligatoria.
In tal senso s’è nuovamente espresso il Consiglio di Stato, con una recente sentenza.
Il tema è, da tempo, al centro di un esteso dibattito; che ha interessato anche le Corti europee ed è quindi argomento di interesse, che abbiamo scelto di approfondire in questo articolo.
L’abuso edilizio
Per trattare la materia, è indispensabile comprendere cosa la legge intenda per “abuso edilizio“.
Occorre premettere che non esista una definizione di “abuso edilizio“; ma che la stessa sia ricavabile facendo riferimento alle sentenze ed ordinanze emesse dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale l’abuso edilizio può essere definito come un intervento che ha avuto inizio senza le autorizzazioni amministrative necessarie previste dalla legge ovvero in violazione di tali autorizzazioni.
Normativamente, occorre far riferimento all’art. 44 del D.P.R. 380/2001 per individuare l’elenco delle quattro tipologie principali di abuso edilizio previste dalla legge, ovvero:
- interventi effettuati senza il titolo abilitativo richiesto
- interventi effettuati in totale difformità dal titolo
- interventi effettuati in parziale difformità dal titolo
- interventi con variazioni essenziali.
Deve poi considerarsi che l’abuso edilizio abbia, per ormai unanime interpretazione giurisprudenziale, natura di illecito permanente.
Pertanto, per il principio del tempus regit actum, il provvedimento di demolizione è regolato dalla normativa in vigore al momento della sua adozione. Ed il suo perseguimento non sia soggetto a prescrizione nel tempo.
Le conseguenze dell’abuso edilizio sono indicate all’interno dell’art. 44: si tratta di sanzioni pecuniarie e sanzioni amministrative.
I casi di abuso edilizio più gravi prevedono inoltre, quale ulteriore conseguenza, la sanzione amministrativa della demolizione del manufatto abusivo.
La demolizione viene eseguita tramite specifica ordinanza del Comune territorialmente competente in relazione al luogo in cui è stato realizzato il manufatto abusivo.
La totale difformità
L’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 definisce quali siano gli interventi eseguiti in totale difformità del titolo edilizio: sono quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune.
L’art. 32 comma III del D.P.R. n. 380/2001 aggiunge che siano sempre da considerarsi “in totale difformità” gli interventi effettuati su:
- immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico
- immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali.
La medesima disposizione precisa che tutti gli altri interventi sui medesimi immobili siano considerati “variazioni essenziali” (vedi infra).
Le variazioni essenziali
Come accennato, sempre l’art. 32 comma III del D.P.R. n. 380/2001 indica che siano le Regioni a stabilire cosa debba intendersi per “variazione essenziale“, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
- mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards;
- aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
- modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
- mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
- violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
La zona vincolata
Infine, per comprendere appieno l’argomento in trattazione, occorre individuare cosa si intenda per “zona vincolata“.
I vincoli paesaggistici e naturali rappresentano specifici limiti previsti dalla normativa per tutelare aree (siano essi terreni che immobili) di particolare pregio storico, culturale, ambientale.
Lo scopo è tutelare queste zone da eventuali opere edilizie ed infrastrutture che possano danneggiarne il valore estetico ed il patrimonio.
In particolare, il vincolo ambientale impone la non modificabilità di certi luoghi, prevedendo una serie di limitazioni sulle facoltà di possessori, detentori o proprietari di questi beni.
L’art. 136 del D.L.vo 42/2004 individua gli immobili e le aree di particolare interesse pubblico, come da seguente elenco:
- le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali;
- le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
- i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;
- le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
L’art. 142 del. D.L.vo 42/2004 identifica le zone soggette a vincolo paesaggistico tutelate per legge.
I loro elenco è piuttosto articolato:
- i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
- i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
- i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
- le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
- i ghiacciai e i circhi glaciali;
- i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
- i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;
- le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
- le zone umide;
- i vulcani;
- le zone di interesse archeologico.
Le motivazioni del Consiglio di Stato
Premesse queste informazioni di massima, veniamo all’esame della sentenza.
Per il Consiglio di Stato, le opere abusive realizzate in zona vincolata devono essere sempre demolite.
Nella sentenza, il Supremo Collegio ha infatti affermato che tutti gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire (o con variazioni essenziali) che comportino aumenti di cubatura in area vincolata siano inderogabilmente soggetti a demolizione; ciò in forza del disposto dell’art. 31 comma II del D.P.R. n. 380/2001.
In caso di totale difformità dal permesso di costruire (o con variazioni essenziali) non può trovare applicazione il disposto dell’art. 34 comma II del D.P.R. n. 380/2001, il cui presupposto è la parziale difformità dal permesso di costruire.
La natura di illecito permanente delle violazioni edilizie determina, quale conseguenza, che l’esercizio del potere repressivo:
- assuma natura doverosa
- sia vincolato
- debba essere esercitato anche a distanza di lunghissimo tempo dalla realizzazione dell’abuso.
Il Consiglio di Stato ha altresì precisato che:
- la creazione di un volume abusivo, anche di natura accessoria, in zona vincolata non consenta il rilascio della compatibilità paesaggistica;
- sia ininfluente la circostanza che l’intervento fosse assentibile con autorizzazione paesaggistica semplificata, a sensi del D.P.R. n. 31/2017;
- non si applichi la misura di fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 34 comma II del D.P.R. n. 380/2001, prevista per i casi in cui la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità;
- la presentazione di una richiesta di sanatoria non comporta, né la sopravvenuta inefficacia dei provvedimenti sanzionatori pregressi; né l’illegittimità di quelli sopravvenuti.
La sentenza assume inoltre che il certificato di agibilità abbia quale natura quella di attestare l’inesistenza di cause di insalubrità dell’edificio. E non sia quindi idoneo a creare un legittimo affidamento sulla legittimità edilizia delle opere.
Per contro, l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive deve considerare sempre esistente in re ipsa.
Motivo per il quale, i provvedimenti di demolizione non necessitino di specifica motivazione né di comparazione dell’interesse pubblico con quello, opposto, del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita.
Per approfondire l’argomento, potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.
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