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In tema di utilizzabilità degli elementi raccolti illegittimamente dalla Guardia di Finanza durante una perquisizione s’è recentemente espressa la Corte Suprema di cassazione.
La una sentenza merita un approfondimento, avendo il tema incidenza sui diritti difensivi.
La vicenda
La vicenda oggetto del giudizio della Cassazione ha avuto origine dal sequestro probatorio di documenti (cartacei e informatici) disposto dal Pubblico Ministero in seguito all’ipotesi di violazione dell’art. 5 del D.Lgs. 74/2000 (omessa presentazione di dichiarazioni I.v.a.) formulata dalla Guardia di finanza a carico di una società.
In particolare, è stato promosso ricorso avverso l’acquisizione dei dati informatici presenti su hard-disk, ai quali i militari della Guardia di Finanza avevano potuto accedere utilizzando le credenziali della persona sottoposta ad indagine.
Alla Corte Suprema sono state quindi dovolute due questioni:
- la legittimità di accesso al sistema informatico da parte dei militari
- la leggittimità della utilizzabilità degli elementi raccolti illegittimamente dalla Guardia di Finanza.
La sentenza della Cassazione
A fronte di tali quesiti, la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza dei denunciati profili di illegale acquisizione dei dati informatici acquisiti con l’utilizzo di credenziali di accesso a seguito di controllo della società oggetto di indagini.
Ha precisato il Collegio che in materia di illeciti tributari siano sempre utilizzabili quale “notitia criminis” gli elementi raccolti dalla Guardia di Finanza durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiuti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette.
Ciò a prescindere dalla regolarità formale della loro acquisizione: in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’operato della polizia giudiziaria.
La Corte ha infatti precisato che nelle materie di loro competenza i militari della Guardia di finanza svolgano, contemporaneamente, due funzioni:
- di polizia amministrativa
- di polizia giudiziaria.
L’utilizzabilità degli elementi raccolti illegittimamente dalla Guardia di Finanza
La Corte ha sancito l’utilizzabilità degli elementi raccolti illegittimamente dalla Guardia di Finanza in ragione del fatto che il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero contenesse una motivazione sul presupposto del fumus commissi delicti mediante richiamo, dopo l’indicazione della violazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, alla nota della Guardia di Finanza redatta dopo la verifica fiscale.
In forza di tale corollario, la Cassazione ha affermato che il decreto di sequestro contensse il richiamo ai risultati dell’attività di verifica espletata ed, anche, il riferimento alle cose da sottoporre a sequestro.
Nello specifico, due hard disk contenenti copie di back up di dati digitali di indirizzi di posta elettronica e del data base del sistema gestionale.
Per tali beni doveva considerarsi sussistere il nesso di pertinenzialità con il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali. E, conseguentemente, la finalità probatoria connessa al sequestro delle cose indicate.
L’inapplicabilità della disciplina del codice di procedura penale
Dalla lettura delle motivazioni della sentenza, due sono gli aspetti centralisui quali occorre concentrare l’attenzione:
- le operazioni svolte dai militari della Guardia di Finanza nell’ambito delle verifiche compiute per l’accertamento delle violazioni in tema di I.va ed imposte dirette non sono soggette alle norme del codice di procedura penale che regolano l’operato della polizia giudiziaria
- l’acquisizione dei dati informatici si da considerarsi legittima a seguito dell’esercizio dei poteri di polizia amministrativa conferiti ai militari della Guardi di Finanza.
Il testo integrale della sentenza può essere letto QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.
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