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La valutazione dei danni da tardiva diagnosi deve essere fatta in via equitativa.
La Corte di cassazione, con una recentissima ordinanza, ha ribadito tale affermazione e precisato quali siano i criteri da applicarsi per la liquidazione dei relativi danni.
Vediamo nel seguito quali siano.
La vicenda
Il fatto riguarda la richiesta di risarcimento dei danni conseguenti al decesso di un congiunto a causa di “tardiva diagnosi” di un tumore.
Ciò avrebbe determinato la violazione del diritto di quest’ultimo di “determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto“.
La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della pronunzia del Tribunale, ha rideterminato in diminuzione la somma liquidata ai congiunti; i quali hanno quindi proposto ricorso in cassazione.
L’autodeterminazione e la valutazione “equitativa” del danno
Deve innanzitutto considerarsi che sia autonomamente risarcibile la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali.
Il colposo ritardo diagnostico di patologia ad esito certamente infausto, invero, non coincide con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere e autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale.
Nè possono essere utilizzate, nel caso, le cd. Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale (come quelle apprestate dal Tribunale di Milano).
La valutazione equitativa dei danni da tardiva diagnosi deve invero effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto.
Essa è volta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata“ del pregiudizio patito; quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa“.
E deve essere dal Giudice effettuata considerando, in particolare, la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione.
Non può pertanto tradursi in una preventiva “tariffazione della persona“, essendo al riguardo da considerarsi aspetti personalistici che rendono necessariamente individuale e specifica la
relativa quantificazione nel singolo caso concreto.
Le motivazioni della Corte di cassazione
L’ordinanza qui in commento ribadisce quindi che la valutazione equitativa dei danni da tardiva diagnosi deve essere effettuata valutando “tutte le circostanze del caso concreto“.
In particolare, per la Corte devono essere valutati:
- l’età del paziente al momento della morte
- il periodo di ritardo intercorso fra il primo accertamento diagnostico
- la data di diagnosi della malattia
- la data del decesso
- le condizioni generali di salute del paziente nei mesi intercorsi tra il primo accertamento e l’effettiva corretta diagnosi
- le conseguenze che il peggioramento della salute abbiano determinato al paziente.
Per la Cassazione, pertanto, la valutazione dei danni da tardiva diagnosi deve essere fatta in via equitativa utilizzando i criteri qui elencati.
Potete leggere il testo dell’ordinanza QUI →