Il rischio nelle discipline sportive

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Il rischio nelle discipline sportive è un argomento non tipico della trattazione giurisprudenziale.

Recentemente, però, la Corte di cassazione ha esaminato – in modo critico – la previgente giurisprudenza ed indicato i criteri ai quali il Giudice penale debba attenersi per valutare la leggittimità di una condotta sportiva allorchè quest’ultima abbia determinato lesioni ad un “avversario”.

Di seguito, ne analizziamo i profili di maggior interesse.

Il superamento della scriminante del c.d. “rischio consentito

Secondo la Corte, l’impostazione che fonda il limite fra illecito sportivo ed illecito penale sull’operatività della scriminante del c.d. “rischio consentito” non appare pienamente soddisfacente.

Essa implica infatti che l’attività sportiva costituisca una causa di giustificazione.
Mentre, per la Corte, essa è attività lecita e regolata dalla normazione di ciascun specifico settore disciplinare, anche con riferimento al livello agonistico più o meno elevato.

La partecipazione all’attività comporta da parte dell’atleta l’accettazione della regola sportiva e del rischio ad essa connesso.
Ma non implica, di per sè, l’accettazione della lesione dell’integrità fisica che scaturisca dall’azione dolosa altrui, ancorchè interna al gioco, o quella conseguente all’azione dell’antagonista che sia colposamente cagionata

Esclusi i casi di dolo, per la Cassazione, si tratta quindi comprendere se e quale tipo di rapporto vi sia tra la regola sportiva e quella cautelare volta ad evitare il prodursi di eventi dannosi.
Ciò in quanto l’azione sportiva – anche se non contraria al regolamento – possa risultare ex ante tale da comportare la lesione fisica altrui.
Mentre una violazione della disposizione sportiva può, in concreto, porsi al di fuori della prevedibilità dell’evento lesivo.

Sulla scorta di queste osservazioni, la Cassazione ha proposto il superamento del criterio del c.d. “rischio consentito“.

Il limite fra illecito sportivo ed illecito penale

Per la Corte, la responsabilità sportiva e la responsabilità penale si muovono su piani parzialmente diversi; e solo parzialmente intersecanti.

La prima è disciplinata dai rispettivi regolamenti, che definiscono i limiti della correttezza del gioco.
La seconda, invece, può sussistere solo quando l’evento lesivo derivi da una condotta dolosa o colposa dell’agente.

La non piena sovrapponibilità fra illecito sportivo ed illecito penale si coglie proprio nell’individuazione della regola destinata nel primo caso a disciplinare l’azione, nel secondo ad evitare l’evento.

In ambito penale, pertanto, il Giudice  deve rifarsi ai criteri ordinari della colpa, fissati dall’art. 43 c.p.

Ciò implica che debba individuare non solo la regola cautelare preesistente, che impone la condotta doverosa di astensione nei limiti propri della disciplina lecita, ma anche i limiti della sua applicazione in termini di prevedibilità dell’evento.

Il Giudice deve quindi verificare se l’azione, che rientri nel lecito sportivo in quanto non violante alcuna regola, sia posta in essere anche nei limiti della prudenza; in modo da non cagionare, per l’eccesso nella gestione del gesto atletico o per l’eccessività ed inutilità al fine sportivo del contrasto opposto, un danno prevedibile all’altrui integrità fisica.

Da tale considerazione discende che la valutazione della legittimità dell’azione non possa dipendere dall’entità del danno cagionato.
Bensì dalla travalicazione della norma cautelare prestabilita, che deve rendere prevedibile l’evento. Sia perchè disapplicata, sia perchè inutilmente trascesa, al fine del raggiungimento del risultato.


Potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →

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