Gender gap e parità retributiva

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Con la pubblicazione della Direttiva n. 2021/93, il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno mirato a ridurre il gender gap e ad introdurre i principi di parità retributiva tra uomini e donne in tutti gli Stati dell’Unione.

La Direttiva ha infatti come scopo primario quello di “rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi“.

Malgrado l’eco “agostano” dato dalla stampa nazionale a questi temi, occorre osservare che gli Stati membri dell’Unione dovranno emettere le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva (solo) entro il 7 Giugno 2026.

Trattandosi comunque di un tema che caratterizzerà in modo significativo i rapporti tra datore di lavoro e dipendenti nonchè tra gli stessi dipendenti, abbiamo scelto di iniziare ad approfondirlo.

Il Gender gap

Per comprendere l’argomento in esame, è necessario innanzitutto chiarire cosa s’intenda con “Gender gap“, o “differenza di genere“.

Con “Gender gap” si indica il divario esistente tra uomini e donne in vari ambiti che impattano profondamente sulla vita quotidiana e il suo svolgimento.
Tra tali ambiti, possiamo ricordarne i più importanti: la salute, il lavoro, l’accesso alle attività economiche, l’istruzione, etc.

Nella classifica mondiale (stilata annualmente nel Global Gender Gap Report redatto dal WEF – Word Economic Forum) sull’ampiezza del divario di genere in tutto il mondo, l’Italia nel 2023 è scesa dalla 63esima alla 79esima posizione sui 149 Paesi elencati.
Un forte “balzo” negativo per il nostro Paese, in un periodo davvero contenuto.

Anche per questa ragione, la parità di genere è un tema divenuto sempre più di attualità in Italia; ed ora presente anche anche nelle misure previste dal PNRR.
In particolare, dovrà essere resa una valutazione sul contributo che gli interventi del PNRR avranno nella riduzione del divario in ambito (anche) lavorativo tra i sessi.

Il Gender pay gap o differenza retributiva

Una sottocategoria del “Gender gap” è il “gender pay gap“: ossia la differenza retributiva tra persone di sessi differenti.

L’indice del gender pay gap viene elaborato con due criteri differenti:

  • quello “grezzo”, che si basa sulla differenza media della retribuzione lorda oraria (al lordo quindi della tassazione e della contribuzione); 
  • quello “totale”, che si basa sul salario orario, sul numero medio mensile di ore retribuite e sul tasso di occupazione femminile.

Proprio il gender pay gap è stato nelle ultime settimane al centro dell’attenzione dei media.

Le novità introdotte dalla Direttiva (UE) 2023/970

La Direttiva 2023/970 ha introdotto una serie di novità che andranno ad impattare significativamente soprattutto sul mondo del lavoro.

In forza della Direttiva, gli Stati membri dovranno infatti adottare le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

Inoltre, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per assicurare la disponibilità di strumenti o metodologie di analisi e per far sì che a tali strumenti o metodologie si possa accedere facilmente allo scopo di sostenere e guidare la valutazione e il confronto del valore del lavoro conformemente ai criteri di cui al presente articolo.
Tali strumenti o metodologie dovranno consentire ai datori di lavoro e/o alle parti sociali di istituire e utilizzare facilmente sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere, che escludano qualsiasi discriminazione retributiva fondata sul sesso.

La Direttiva si applicherà a tutti i datori di lavoro, sia nel settore pubblico che privato, ed a tutti i lavoratori dipendenti che abbiano un contratto di lavoro.

Le definizioni della Direttiva

Per comprendere meglio l’oggetto della Direttiva, di seguito abbiamo riassunto le principali definizioni elencate nel testo normativo:

  • retribuzione: il salario o lo stipendio normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore (componenti complementari o variabili)
  • livello retributivo: la retribuzione lorda annua e la corrispondente retribuzione oraria lorda
  • divario retributivo di genere: la differenza tra i livelli retributivi medi corrisposti da un datore di lavoro ai lavoratori di sesso femminile e a quelli di sesso maschile, espressa in percentuale del livello retributivo medio dei lavoratori di sesso maschile
  • lavoro di pari valore: il lavoro ritenuto di pari valore secondo i criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo del genere
  • discriminazione diretta: la situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga
  • discriminazione indiretta: la situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
La trasparenza retributiva

Nelle ultime settimane si è molto parlato di “trasparenza retributiva“, ossia l’obbligo imposto alle imprese dell’UE di fornire ai dipendenti ed alle associazioni di categoria informazioni sulle retribuzioni nonchè di intervenire nel caso in cui il divario retributivo di genere superi il 5%.

La mancanza di trasparenza retributiva è stata individuata come uno dei principali ostacoli all’eliminazione del divario retributivo di genere: nel 2020 in media nell’UE le donne, per ogni ora di lavoro prestata, hanno guadagnato in media il 13% in meno rispetto agli uomini.

La trasparenza può quindi contribuire a dotare i lavoratori e le lavoratrici dei mezzi necessari per far valere il loro diritto alla parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso una serie di misure vincolanti.

Secondo la Direttiva, i candidati a un impiego hanno il diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro le seguenti informazioni:

  • sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere
  • sulle pertinenti disposizioni del contratto collettivo applicate dal datore di lavoro in relazione alla posizione

La Direttiva precisa che il datore di lavoro non possa chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

I datori di lavoro devono rendere facilmente accessibili ai propri lavoratori i criteri utilizzati per determinare la retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica dei lavoratori.
Tali criteri sono oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.
Gli Stati membri possono esonerare i datori di lavoro con meno di 50 lavoratori dall’obbligo relativo alla progressione economica.

Il diritto di informazione

Al fine di rendere effettiva la trasparenza retributiva, la Direttiva prevede che i lavoratori abbiano diritto di:

  • richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore
  • richiedere e ricevere le informazioni precedenti tramite i loro rappresentanti dei lavoratori, conformemente al diritto e/o alle prassi nazionali nonchè tramite un organismo per la parità.

I datori di lavoro informano annualmente tutti i lavoratori del loro diritto di ricevere le informazioni e delle attività che il lavoratore deve intraprendere per esercitare tale diritto.

La discriminazione secondo la Direttiva

Ai fini della Direttiva, la discriminazione comprende:

  1. le molestie e le molestie sessuali
  2. qualsiasi istruzione di discriminare persone in ragione del loro sesso
  3. qualsiasi trattamento meno favorevole per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità
  4. qualsiasi trattamento meno favorevole fondato sul sesso, anche in relazione al congedo di paternità, al congedo parentale o al congedo per i prestatori di assistenza
  5. la discriminazione intersezionale, ossia la discriminazione fondata su una combinazione di discriminazioni fondate sul sesso e su qualunque altro motivo
Tutela dei diritti dei lavoratori

Gli Stati membri provvedono affinché, dopo un eventuale ricorso alla conciliazione, tutti i lavoratori che si ritengono lesi dalla mancata applicazione del principio della parità di retribuzione possano disporre di procedimenti giudiziari finalizzati all’applicazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

Tali procedimenti sono facilmente accessibili ai lavoratori e alle persone che agiscono per loro conto, anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro nell’ambito del quale si presume si sia verificata la discriminazione.

Gli Stati membri provvedono affinché le associazioni, le organizzazioni, gli organismi per la parità e i rappresentanti dei lavoratori o altri soggetti giuridici che, conformemente ai criteri stabiliti dal diritto nazionale, hanno un legittimo interesse a garantire la parità tra uomini e donne, possano dare avvio a qualsiasi procedimento amministrativo o giudiziario relativo a una presunta violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione. Gli stessi possono agire per conto o a sostegno di lavoratori che sono presunte vittime di una violazione di qualsiasi diritto o obbligo connesso al principio della parità di retribuzione, con il consenso di tali persone.

Il diritto al risarcimento

La Direttiva prevede che qualsiasi lavoratore che abbia subito un danno a seguito di una violazione di un
diritto o di un obbligo connesso al principio della parità di retribuzione abbia il diritto di chiedere e ottenere il pieno risarcimento o la piena riparazione, come stabilito dallo Stato membro, per tale danno.

Il risarcimento o la riparazione pongono il lavoratore che ha subito un danno nella posizione in cui la persona si sarebbe trovata se non fosse stata discriminata in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

Gli Stati membri adottano le misure necessarie, secondo i loro sistemi giudiziari, affinché spetti al datore di lavoro l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione retributiva diretta o indiretta.


Potete leggere il testo integrale della Direttiva (UE) 2023/970 QUI →

Per approfondimenti, consulenza od assistenza sugli argomenti trattati in questo articolo potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

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