Per la Corte di Cassazione è legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che importuna le colleghe.
Nell’articolo che segue abbiamo approfondito il tema oggetto della recente ordinanza della Cassazione in materia.
Il c.d. sexting e le altre condotte considerate sessualmente “moleste“
Per meglio comprendere l’argomento, occorre focalizzare l’attenzione su quali siano le condotte che la Corte di Cassazione ha preso in esame per valutare la legittimità del licenziamento.
Il termine sexting è un neologismo della lingua inglese, che deriva dalla fusione delle parole inglesi sex (sesso) e texting (inviare messaggi elettronici).
Indica l’invio di messaggi, testi, video e/o immagini dai contenuti sessualmente espliciti, operato principalmente tramite smartphone, e-mail ed internet.
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Naturalmente, le condotte caratterizzate sessualmente non si riducono solo al sexting, ma possono assumere le forme più svariate, anche sul luogo di lavoro.
L’art. 26 del D.L.vo n. 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità) prevede espressamente due tipologie di molestie:
- le molestie
- le molestie sessuali.
Per condotte moleste devono intendersi tutti quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Mentre per molestie sessuali devono intendersi quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Nei casi più gravi, le condotte moleste possono integrare il delitto previsto dall’art. 612 bis c.p., ossia lo stalking.
Il fatto
La vicenda giudiziale trattata dalla Cassazione ha un prologo in sede lavorativa, ove due colleghe avevano segnalato all’azienda i ripetuti approcci ed inviti sgradevoli effettuati da un altro dipendente attraverso il continuo inoltro di messaggi tramite il sistema di comunicazione aziendale interno e tramite SMS.
Un palese caso di sexting; assolutamente non gradito dalle colleghe.
Ricevuta la segnalazione, il datore di lavoro aveva convocato il dipendente e, alla presenza di una sindacalista, aveva contestato i suoi comportamenti scorretti nei confronti delle colleghe e lo aveva diffidato ad interromperli.
Nonostante la diffida, il dipendente aveva persistito nell’invio, durante l’orario di lavoro, di profferte di stampo sessuale e di richieste di incontro alle medesime colleghe. Oltre a ciò, aveva posto in essere ulteriori comportamenti integranti (quantomeno) la molestia.
Perdurando la situazione di indesiderati approcci nei confronti delle colleghe, il datore di lavoro aveva contestato al dipendente di aver continuato intenzionalmente, disattendendo la diffida ricevuta, tali comportamenti ed aveva quindi adottato nei suoi confronti la sanzione della sospensione.
Nemmeno questo provvedimento aveva sortito effetto. Pertanto, sempre perdurando le molestie, il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa il dipendente, in ragione anche dalla recidiva delle condotte inappropriate e generatrici di turbamento e paura ai danni delle colleghe.
Il licenziamento è stato impugnato.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha definitivamente respinto il ricorso del dipendente, ritenendo legittimo il licenziamento del dipendente che importuna le colleghe.
In particolare, ha rilevato che questi avesse continuato, intenzionalmente e disattendendo la diffida ricevuta, a porre in essere le condotte denunciate dalle due dipendenti, stigmatizzate come “approcci indesiderati“.
Conseguentemente, ha affermato che dovessero ritenersi legittimamente irrogate le sanzioni disciplinari per tutti i fatti lesivi della dignità e della sicurezza delle colleghe; nonchè quelli relativi all’uso improprio dei mezzi di comunicazione aziendali e al decoro e correttezza nelle relazioni tra colleghi nell’ambiente lavorativo.
Tali condotte, per la loro gravità e per la loro contestata recidività, avevano irrimediabilmente leso il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Tanto da giustificare il licenziamento disciplinare per giusta causa.
Infine, si osserva che, nell’affrontare la questione sottopostale, la Corte di Cassazione non abbia indicato esplicitamente la natura “sessualmente molesta” delle condotte del dipendente: ma il riferimento al fatto che i datori di lavoro siano tenuti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., “ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori” richiama espressamente parte del disposto di cui al comma 3 ter del citato art. 26 del D.L.vo 198/2006.
Per approfondire l’argomento, potete leggere il testo integrale dell’ordinanza QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico o l’avv. Riccardo Spreafico.