La risoluzione del preliminare per abuso non sanabile

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L’abuso non sanabile integra gli estremi di un inadempimento idoneo alla risoluzione del preliminare di compravendita dell’immobile.

Avevamo già avuto modo di occuparci della questione della validità del preliminare in caso di compravendita di immobile affetto da abuso nell’articolo pubblicato QUI →

Abbiamo scelto di approfondire il tema in quanto una recente ordinanza della Corte di cassazione ha fornito nuovi spunti per comprendere quali siano i presupposti per poter ottenere la risoluzione del contratto preliminare.

Ovvero per poter ottenere esclusivamente un risarcimento degli eventuali danni da inadempimento.

La vicenda storica

La vicenda oggetto dell’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione riguardava la stipula di un preliminare di compravendita di un immobile all’epoca privo del certificato di agibilità, in quanto privo della destinazione ad uso abitativo.

La promittente venditrice aveva presentato domanda di sanatoria, al cui rigetto aveva promosso un ricorso pendente avanti il Tribunale Amministrativo Regionale.

La promissaria acquirente ha chiesto al Tribunale la risoluzione del contratto preliminare.

E la condanna della promittente alienante alla restituzione della somma di Euro 150.000,00= versata a titolo di caparra confirmatoria.

La pronuncia del Tribunale

Il Tribunale adito, accogliendo la domanda, ha pronunciato la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento della promittente venditrice nella consegna di un valido certificato di abitabilità.

Nella sentenza di primo grado, il Tribunale ha evidenziato che la promittente venditrice non avesse fornito alcuna prova che:

  • l’immobile promesso in vendita presentasse tutte le caratteristiche necessarie per l’uso proprio
  • la difformità edilizia acclarata fosse sanabile.

La promittente venditrice ha promosso appello avverso la sentenza del Tribunale.

La sentenza della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha accolto il ricorso e, per l’effetto, riformando la sentenza del Tribunale, ha rigettato la domanda di risoluzione del preliminare di vendita e di restituzione della caparra confirmatoria.

Conseguentemente, ha condannato la promissaria acquirente alla restituzione, in favore della promittente venditrice, della somma di Euro 173.060,17= oltre interessi legali, versata in attuazione della sentenza di primo grado.

La sentenza d’appello ha evidenziato le seguenti circostanze:

  • al momento in cui era stata fissata la stipula del definitivo, la promittente venditrice non era in grado di consegnare il certificato di agibilità, né esso era stato rilasciato nel corso del giudizio di primo grado;
  • nel preliminare era stato stabilito che, in caso di esito negativo del giudizio pendente dinanzi al Tar e di annullamento dei provvedimenti amministrativi di rigetto delle istanze di sanatoria, la promittente alienante si impegnava a restituire, in favore della promissaria acquirente, le somme nel frattempo versate;
  • le parti avevano inteso subordinare la risoluzione del preliminare alla mancata positiva conclusione del giudizio amministrativo;
  • il Tar aveva rilevato nella propria sentenza che la promittente alienante non era stata messa in grado di fornire un principio di prova circa la realizzazione dell’opera entro il termine ultimo di legge, con conseguente annullamento del provvedimento del Comune di rigetto delle istanze di condono, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di rinnovare la procedura istruttoria;
  • il Tar aveva inoltre rilevato che nessun termine essenziale era stato stabilito per la consegna del certificato di abitabilità entro la data pattuita per la stipula del definitivo.

La promissaria acquirente ha promosso ricorso per cassazione della sentenza della Corte d’Appello.

Le motivazioni espresse dalla Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha chiarito che, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di:

  • vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili
  • vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili
  • inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa.

Nel caso di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, sono integrati gli estremi di un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita.

L’inadempimento è da qualificarsi grave, in relazione alle concrete esigenze del promissario compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell’immobile.

Mentre quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che avrebbero giustificato il rilascio della sanatoria o del certificato di agibilità, non può darsi luogo alla risoluzione del contratto.

Ciò in quanto tale deficienza non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.

Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti in concreto i requisiti richiesti dalla legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.


Se desiderate approfondire il tema, potete leggere il testo integrale dell’ordinanza della Corte di Cassazione QUI →

Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

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