Bigenitorialità e diritto di visita dei figli minori: un tema che in Italia ha diviso dottrina e giurisprudenza.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha trattato l’argomento ed espresso un nuovo principio di diritto, nei termini che seguono.
La bigenitorialità
Al fine di permettere una miglior comprensione dei temi in trattazione è innanzitutto necessario specificare cosa s’intenda con “bigenitorialità“.
Il principio della bigenitorialità è una presunzione legale, in base alla quale si ritiene che un bambino sia detentore del diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori.
Ciò anche nel caso questi siano separati o divorziati; ogni qual volta non esistano impedimenti che giustifichino l’allontanamento di un genitore dal proprio figlio.
Tale diritto si basa sul fatto che essere genitori è un impegno che si prende nei confronti dei figli; e non dell’altro genitore.
Pertanto, non può e non deve essere influenzato da un’eventuale separazione. Né su di lui si può far ricadere la responsabilità delle scelte separative dei genitori.
Dopo la convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia tenutasi a New York nel 1998, si è diffuso sempre di più il concetto che un bambino abbia diritto ad avere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, anche se i genitori si separano.
Il concetto di bigenitorialità si è quindi esteso anche alla famiglia separata.
In Italia, il principio della bigenitorialità è stato introdotto con la Legge 54/2006.
Per la Corte di Cassazione, il diritto alla bigenitorialità deve essere inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio.
Tale presenza deve essere idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi.
Il diritto alla bigenitorialità deve in ogni caso essere sempre subordinato a quello del benessere del minore.
Quindi, secondo un orientamento – più risalente – della Corte di Cassazione non esiste obbligo di darvi corso.
Le norme sovranazionali
I diritti dei genitori e dei figli sono oggetto di diverse norme sovranazionali, alle quali anche l’Italia deve attenersi.
A livello europeo, la norma principale è quella prevista dall’art. 8 della CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancendo che:
“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.“
L’articolo è finalizzato principalmente alla tutela dalle ingerenze arbitrarie nella vita privata e familiare da parte di un’autorità pubblica.
Gli Stati membri hanno tuttavia anche l’obbligo positivo di garantire che i diritti previsti dall’art. 8 siano rispettati anche tra privati.
Si deve tenere conto del giusto equilibrio cui occorre pervenire tra gli interessi concorrenti della persona e della collettività nel suo insieme.
Nella sua giurisprudenza relativa all’art. 8, la Corte di giustizia europea ha sottolineato l’importanza, per i minori e gli altri membri vulnerabili della società, di godere della protezione dello Stato qualora sia stato minacciato il loro benessere fisico e mentale.
L’art. 8 non garantisce però il diritto di instaurare un rapporto con una particolare persona, se quest’ultima non condivida il desiderio di avere contatti e se la persona con la quale il ricorrente desidera mantenere i contatti sia stata vittima di un comportamento giudicato lesivo dai tribunali nazionali.
Il fatto storico
La vicenda ha preso spunto a seguito di richiesta di modifica delle condizioni di divorzio e del precedente accordo di separazione.
Il ricorrente ha chiesto la riduzione del contributo dovuto per il mantenimento del figlio e l’elisione delle restrizioni inerenti il pernottamento di quest’ultimo, adottate in ragione delle sue condizioni di salute (epilessia).
Il Tribunale ha accolto il ricorso, ampliando il diritto di visita ai pernottamenti e riducendo il contributo dovuto per il mantenimento del figlio.
E’ stato quindi proposto reclamo.
La Corte d’Appello, in parziale accoglimento, ha previsto che il pernottamento del minore presso l’altro genitore venisse introdotto con gradualità.
Ciò in ragione della prevista regressione della sua patologia.
Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione.
La sentenza della Corte di Cassazione
Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha superato il precedente orientamento – peraltro, non univoco – in tema di ricorribilità per cassazione dei provvedimenti giudiziali che statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori nonchè che incidono sul diritto alla vita familiare, sancito dall’art. 8 CEDU, ed il diritto alla bigenitorialità.
La ricorribilità dei provvedimenti di frequentazione dei figli minori
La Corte di Cassazione ha affermato che i provvedimenti giudiziali che statuiscono sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori sono ricorribili per cassazione nella misura in cui il diniego si risolva nella negazione della tutela giurisdizionale a un diritto fondamentale, quello alla vita familiare, sancito dall’art. 8 CEDU.
Tale diritto è suscettibile di essere leso da quelle statuizioni che, adottate in materia di frequentazione e visita del minore, risultino a tal punto limitative ed in contrasto con il tipo di affidamento scelto, da violare il diritto alla bigenitorialità.
Tale diritto deve essere inteso quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione e istruzione della prole il cui rispetto deve essere sempre assicurato nell’interesse del minore.
La CEDU ha più volte osservato che, nelle cause che riguardano la vita familiare, il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il bambino e il genitore che non vive con lui, e in particolare che la rottura del contatto con un bambino molto piccolo può portare a una sempre maggiore alterazione della sua relazione con il genitore.
Il decorso del tempo senza che vi sia la possibilità di contatto toglie al minore ed al suo genitore, e al reciproco rapporto interpersonale di cura, affetto, costruzione dell’identità personale e familiare, “pezzi di vita” che non consentono alcuna restitutio in pristinum poiché ciò che è andato perduto è difficilmente recuperabile.
Il diritto di visita e la bigenitorialità
Per la Corte di Cassazione, il “diritto di visita” non è comunque un diritto soggettivo autonomo rispetto al diritto alla relazione familiare; ma, piuttosto, una modalità di concreto esercizio del diritto stesso.
Tale diritto attribuisce al genitore non convivente con il minore uno spazio e un tempo nell’ambito del quale egli può continuare a svolgere la funzione parentale.
Funzione alla quale sono connesse responsabilità: la cura, l’educazione e l’istruzione del minore.
Si tratta quindi di un tempo più o meno esteso, ma comunque qualificato.
Deve ricomprendere momenti di vita del minore in cui si possano effettivamente svolgere le funzioni genitoriali sotto ogni aspetto, segnatamente l’accudimento e l’educazione, condividendone la vita quotidiana e non solo il tempo della “visita” o dello svago ad essa eventualmente connesso.
La pari partecipazione dei genitori alla vita del minore e il diritto del minore alla bigenitorialità si attuano non per il tramite di una meccanica suddivisione in parti uguali dei tempi di permanenza, ma in chiave funzionale.
Occorre organizzare il tempo del minore in modo da consentire a entrambi i genitori di partecipare al suo sviluppo e alla sua formazione e di consolidare con lui un’autentica ed effettiva relazione familiare.
La valutazione ponderata del Giudice di merito
La suddivisione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore è il frutto di una valutazione ponderata del Giudice del merito.
La valutazione parte dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.
In tale ottica, va tenuto conto anche del suo diritto ad una significativa relazione con entrambi i genitori.
Ed il diritto di questi ultimi di esplicare, nella relazione con i figli, il proprio ruolo educativo.
Pertanto, anche se l’esigenza del minore di avere una stabile organizzazione di vita, di mantenere le sue abitudini e l’ambiente domestico che gli è consueto può comportare una suddivisione dei tempi non paritaria, lo spazio temporale della frequentazione con il genitore non convivente – salvo che quest’ultimo non sia totalmente inadeguato alla funzione – non può essere eccessivamente compresso e privato del tutto di momenti significativi (i pasti comuni, i pernottamenti) poiché la relazione familiare ne potrebbe risultare compromessa.
Possono giustificarsi, in casi particolari e ove risponda all’interesse del minore, sporadiche e temporanee limitazioni alla frequentazione tra genitore e figlio.
Ma non, di regola, la sua prolungata interruzione o la sua riduzione a tempi non significativi.
L’applicazione del diritto sovranazionale in Italia
Per la Corte di Cassazione, in un quadro di osservanza della frequentazione tra genitore e figlio, gli obblighi positivi che devono adottare le autorità degli Stati nazionali, per garantire effettività della vita privata o familiare nei termini di cui all’art. 8 CEDU, non si limitano al controllo che il bambino possa incontrare il proprio genitore o avere contatti con lui.
Ma includono l’insieme delle misure preparatorie che, non automatiche e stereotipate, permettono di raggiungere questo risultato.
Resta preliminare l’esigenza che le misure deputate a ravvicinare il genitore al figlio rispondano a rapida attuazione.
Il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui.
Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato che fosse vigente l’affidamento condiviso del minore, statuizione che non è stata messa in discussione dal ricorrente.
Per tale motivo, vi è stata una valutazione di pari idoneità dei genitori ad assumersi la responsabilità genitoriali, di cui non si chiede la revisione.
Pertanto, sussistevano ragioni per le quali deve ritenersi d’interesse del minore il suo pernottamento presso il genitore non affidatario; purché introdotto con modalità graduali.
Il principio di diritto
La Corte di Cassazione ha sancito il seguente principio di diritto:
In tema di bigenitorilalità, i provvedimenti giudiziali che, a conclusione del giudizio di revisione delle condizioni di affidamento statuiscono – in via esclusiva o aggiuntiva – sulle modalità di frequentazione e visita dei figli minori, sono ricorribili per cassazione ove impongano restrizioni suscettibili di ledere, nel loro protrarsi nel tempo, il diritto fondamentale alla vita familiare sancito dall’art. 8 CEDU.
Infatti, i tempi di permanenza dei minori presso il genitore non convivente devono di regola comprendere tutti i momenti della vita quotidiana del minore, anche se in misura proporzionalmente ridotta rispetto ai tempi di convivenza con l’altro genitore, e in essi vanno compresi i pernottamenti – salvo che si evidenzi uno specifico e attuale pregiudizio per il minore – in modo da consentire al genitore non convivente con il figlio di svolgere pienamente le sue funzioni di cura, educazione, istruzione, assistenza materiale e morale, in conformità alle condizioni del provvedimento di affidamento.
Se desiderate approfondire il tema, potete leggere il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico o l’avv. Riccardo Spreafico.