Aumento delle spese per i figli e revisione dell’assegno divorzile

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Una recente ordinanza della Corte di Cassazione è tornata a fornire utili precisazioni in tema di aumento delle spese per i figli e revisione dell’assegno divorzile.

Abbiamo quindi approfondito l’argomento in questo nostro articolo.

L’assegno divorzile

Come di consueto, al fine di permettere una piena e semplice comprensione del tema in trattazione, occorre individuare la cornice normativa in cui si inserisce.

L’assegno divorzile è previsto dall’art. 5 della L. 1 Dicembre 1970 n. 898, il cui comma VI così prevede:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

I parametri di riferimento per la liquidazione dell’assegno divorzile sono previsti dall’art. 337 ter comma IV c.c.:

Il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

  1. le attuali esigenze del figlio
  2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori
  3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore
  4. le risorse economiche di entrambi i genitori
  5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Adeguamento e cessazione dell’obbligo

E’ ancora l’art. 5 ai suoi commi VII ed VIII a prevedere i criteri di adeguamento dell’assegno e le ipotesi di sua cessazione:

La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria.

L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

La vicenda storica e la sentenza del Tribunale

La vicenda sulla quale s’è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame è la seguente.

Nell’ambito di un divorzio, veniva previsto il collocamento della figlia minore della coppia presso la madre, con assegnazione della casa familiare alla stessa e un contributo a carico del padre di Euro 800,00 mensili a titolo di mantenimento per la minore, oltre il 100 % delle spese straordinarie, e di Euro 600,00 mensili a titolo di assegno divorzile a favore della ex moglie.

Il marito, adducendo la sopravvenienza di giustificati motivi (diminuzione del reddito e imminente nascita di una seconda figlia dal nuovo matrimonio), chiedeva poi la modifica delle condizioni di divorzio; sostenendo una contrazione del proprio reddito e l’imminente nascita di seconda figlia da altra compagna.

Il Tribunale, accogliendo il ricorso del marito, riduceva l’assegno ad Euro 600,00 mensili per il contributo al mantenimento ordinario della figlia, al 50% la quota di partecipazione alle spese straordinarie e ad Euro Euro 300,00 mensili l’assegno divorzile a favore dell’ex moglie.

Il ricorso della ex moglie

L’ex moglie presentava ricorso per la modifica della decisione del Tribunale, deducendo un peggioramento delle sue condizione di salute psichica e fisica nonchè un aumento delle necessità e dei bisogni della figlia, asserendo che tali maggiori spese fossero legate al normale sviluppo psicofisico della ragazza e al suo stato di salute.

Con il ricorso, l’ex moglie chiedeva un aumento dell’assegno divorzile ad Euro 1.300,00 mensili e di quello di mantenimento per la figlia ad Euro 1.200,00 mensili.

Il Tribunale, a parziale accoglimento del ricorso della ex moglie, manteneva invariati il regime delle spese straordinarie e l’assegno divorzile (affermando l’inesistenza di “fatti nuovi” fra le circostanze addotte dalla ricorrente); ma aumentava l’assegno di mantenimento della figlia ad Euro 800,00 mensili, sulla scorta di un incremento dei redditi del padre e delle nuove esigenze derivanti dalla sua crescita.

Il reclamo

Con reclamo, l’ex moglie impugnava il provvedimento, eccependo la mancata considerazione della sua situazione economica complessiva delle sue condizioni di salute peggiorate e della propria situazione di disoccupazione, così come le difficili condizioni di salute della figlia.
Chiedeva quindi l’aumento dell’assegno di mantenimento ad Euro 1.200,00 e di quello divorzile ad Euro 1.300,00.

Si costituiva l’ex marito, chiedendo il rigetto del reclamo ed insistendo nelle proprie richieste di revoca dell’assegno divorzile e rideterminazione dell’assegno di mantenimento della figlia in Euro 450,00.

La Corte accoglieva il reclamo limitatamente all’assegno di mantenimento previsto per la figlia, il cui assegno veniva aumentato ad Euro 1200,00.

Avverso tale decreto il marito ha proposto ricorso per cassazione 

La decisione della Corte di Cassazione

La decisione della Corte di Cassazione è stata piuttosto articolata e va quindi analizzata per punti.

La Corte ha innanzitutto ricordato che la definitività dei provvedimenti adottati in sede di divorzio, anche con riferimento all’assegno divorzile, va intesa come assistita da un giudicato rebus sic stantibus.

Per tale motivo il giudice, in sede di procedimento avente a oggetto la loro revisione, non può procedere a una diversa ponderazione delle pregresse condizioni economiche delle parti; né può prendere in esame fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedire tale definitività, potendo considerare solo fatti successivi alla formazione del predetto giudicato.

Il giudizio di revisione dell’assegno divorzile

Il presupposto necessario per l’instaurazione del giudizio di revisione dell’assegno è l’avvenuto accertamento, in fatto, della sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, ad alterare l’assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni del divorzio.

In tali condizioni, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente“, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione.

La revisione dell’assegno divorzile, infatti, richiede la presenza di “giustificati motivi” e impone, prima di tutto, la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali.

Ove, pertanto, le ragioni invocate per la revisione siano tali da giustificare la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi

Il principio di proporzionalità

L’art. 316 bis comma I c.c. prevede che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no), è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore.

Il giudice deve valutare altresì la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno, quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.

Perché possa essere operata la revisione del contributo al mantenimento del figlio, non basta che si determini un mutamento di alcuni dei parametri di riferimento previsti dall’art. 337 ter comma IV c.c..

Ma è necessario che tale mutamento comporti un’alterazione del principio della proporzionalità che aveva determinato la misura dell’assegno in questione.

Se sono ritenute esistenti maggiori spese per il mantenimento del figlio, ciò non comporta un automatico aumento del contributo al mantenimento a carico del genitore obbligato, perché deve sempre essere garantito il rispetto del principio della proporzionalità.

Ciò significa che, se risultano immutati tutti gli altri elementi di valutazione, che attengono al riparto interno dell’obbligo di mantenimento, l’aumento delle spese di mantenimento legate alla crescita del figlio, in relazione alle specifiche esigenze di quest’ultimo, deve comportare un aumento del contributo al mantenimento gravante sul genitore obbligato, perché altrimenti le maggiori spese graverebbero ingiustamente solo sull’altro.

Il mutamento delle condizioni economiche dei genitori

Per la Corte, qualora le condizioni economiche dell’uno o dell’altro genitore dovessero cambiare, o il figlio decidesse di andare a vivere per più tempo presso l’abitazione dell’uno piuttosto che dell’altro, la misura del contributo al mantenimento non potrebbe essere automaticamente aumentata solo perché il figlio è cresciuto, dovendo essere nuovamente operato il giudizio relativo alla proporzionalità incentrato sui parametri indicati dall’art. 337 ter c.c..

In sintesi, a fronte della richiesta di revisione dell’assegno di mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni e non autosufficienti economicamente giustificata dall’insorgenza di maggiori oneri legati alla crescita di questi ultimi, il giudice di merito, che ritenga esistenti tali maggiori spese, non è chiamato ad accertare l’esistenza di sopravvenienze nel reddito del genitore obbligato in grado di giustificare l’aumento del contributo.

Deve invece limitarsi a verificare se tali maggiori spese comportino la necessità di rivedere l’assegno per assicurare la proporzionalità del suo contributo alla luce dei parametri fissati dall’art. 337 ter comma IV c.c.

Ciò in quanto l’incremento di spesa può determinare un maggiore contributo con redditi (dei genitori) immutati (o mutati senza modificare la rispettiva debenza); ovvero non incidere sulla misura del contributo, ove le attuali consistenze economiche dei genitori non rilevino per la misura del contributo, come già determinato.


Potete leggere il testo integrale dell‘ordinanza della Corte di Cassazione QUI →

Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico e avv. Riccardo Spreafico.

Le informazioni contenute in questo articolo sono soggette a termini e condizioni, consultabili QUI →

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