Legittimo il licenziamento del manager per i post su Facebook

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E’ legittimo il licenziamento del manager per i post su Facebook.

La Corte di cassazione è ferma nel censurare i comportamenti online dei dipendenti che costituiscono pregiudizio per il datore di lavoro.
Anche nel caso in cui siano stati posti in essere dai dirigenti.

Il fatto

La vicenda è quella di un manager che in alcune e-mails ed in un post condiviso su Facebook ha rivolto parole offensive e sprezzanti all’indirizzo dei suoi diretti superiori e dei vertici aziendali.

A causa di tale comportamento, l’azienda ha provveduto alla contestazione disciplinare e poi al suo licenziamento per giusta causa.

Le motivazioni a sostegno della legittimità del licenziamento

La Corte di cassazione, investita della decisione del ricorso proposto dal manager, ha ritenuto legittimo il suo licenziamento per i contenuti dei suoi post su Facebook.

Per la Cassazione, il mezzo utilizzato (pubblicazione del post sul profilo personale di Facebook del manager) è stato infatti idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone.
Tale condotta ha quindi integrato gli estremi della diffamazione: costituendo così giusta causa di licenziamento del dipendente, in quanto di per sè idonea a ledere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.

La nozione di insubordinazione

Per la Cassazione, la nozione di insubordinazione deve infatti essere intesa in senso ampio.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni dei superiori.
Deve invece intendersi implicare necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale.

Pregiudizio che può essere causato da comportamenti di pubblico biasimo dell’azienda, posti in essere tramite la pubblicazione di posts sui socials.

La critica dei superiori

La Corte ha affrontato anche il tema della legittimità della “critica all’operato dei superiori“, posto dal ricorrente in contrapposizione a quello del dovere di lealtà e subordinazione.

Ed ha chiarito che la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti arreca pregiudizio all’organizzazione aziendale.
Ciò in quanto l’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi.
Pertanto, essa risente un indubbio pregiudizio allorchè il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.


Potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →

Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

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