Da alcuni anni la giurisprudenza di legittimità sta ampliando il tema riguardante le responsabilità dei professionisti nell’ambito dei reati “pre-fallimentari” e fallimentari.
In particolare, le maggiori riflessioni riguardano le ipotesi di concorso dei consulenti (commercialisti, avvocati, notai, etc.) nei reati di bancarotta.
Con la sentenza n. 6164 depositata in data 17 febbraio 2021, la Quinta Sezione Penale della Cassazione torna sul tema ed indica alcuni punti fermi; d’interesse per quanti, a vario titolo, prestano assistenza professionale ad imprese e società in procinto di fallire, o comunque ad alto rischio di insolvenza.
Vediamo quali.
In via generale, la Cassazione ritiene che il criterio d’analisi delle condotte debba individuarsi nel pregiudizio degli interessi del ceto creditorio.
Ed, in tale contesto, assume quindi rilievo la condotta del consulente che abbia fornito un ausilio agevolatore della produzione dell’evento illecito, con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore o l’amministratore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori.
Precisa la Corte che “concorre nel reato di bancarotta, in qualità di extraneus, il consulente che – consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore o dell’amministratore di una società in dissesto – fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi; ovvero ancora svolga un’attività diretta a garantire l’impunità o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso“.
All’evidenza, le tipologie di condotte che possono assumere rilievo nella valutazione del concorso esterno da parte del consulente sono molteplici; ed è impossibile tracciarne un quadro definito, dovendosi necessariamente entrare nel merito delle singole questioni ed analizzare specificatamente i fatti per poter fornire un parere o l’assistenza professionale necessaria.
Può comunque sottolinearsi che la condotta del consulente, perchè possa avere rilievo nei termini qui in discussione, debba essere anteriore o comunque concomitante a quella posta in atto dall’imprenditore fallito (o dell’amministratore della società fallita).
Pertanto, oltre all’esame della tipologia di consulenza prestata in concreto, per potersi valutare in concreto l’eventuale apporto illecito ascrivibile al consulente rivestirà un ruolo decisivo l’esatta individuazione del momento consumativo delle condotte contestate ai soggetti coinvolti.
Un altro tema, di certo rilievo per i consulenti, che deriva dalle ipotesi di concorso nei delitti di bancarotta (e nei delitti tributari, che sovente precedono i fallimenti) è quello del sequestro e della confisca, anche per equivalente, che può colpire anche il patrimonio del consulente accusato di concorso in tali delitti; con provvedimenti che, spesso, hanno ad oggetto ammontari assolutamente ingenti e determinano conseguentemente fortissime difficoltà personali oltrechè professionali.
In considerazione di un simile assetto normativo e giurisprudenziale, le valutazioni inerenti le ipotesi di concorso del consulente nei reati tributari o di bancarotta devono essere approfondite ed avere riguardo anche ai potenziali pregiudizi patrimoniali che potrebbero derivarne.
Per poter approfondire il tema del concorso del consulente, vai al testo della sentenza →.
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