Riassunto
Per la Suprema Corte di Cassazione merita tutela ai sensi dell'art. 1322 comma II c.c. il contratto atipico con condizione sospensiva lecita individuata nel fallimento del matrimonio, in quanto espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi ed in considerazione del fatto che il divorzio non sia causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale.
La Corte di Cassazione sta progressivamente modificando il proprio orientamento circa la validità dei patti prematrimoniali.
Avevamo già avuto modo di trattare l’argomento (QUI →) trattando le c.d. side letters.
Ossia le scritture a latere dei ricorsi di separazione o divorzio che le parti, per ragioni famigliari o di riservatezza, non vogliono inserire nei ricorsi congiunti.
Dopo quella sentenza, la giurisprudenza di legittimità ha però fatto un ulteriore passo avanti nel riconoscimento dell’efficacia dei patti prematrimoniali, con l’ordinanza n. 20415/2025.
Il tema è certamente di interesse diffuso e lo abbiamo approfondito in questo articolo.
Sommario
Cosa sono i patti prematrimoniali?
I c.d. patti prematrimoniali sono contratti – aventi forma scritta – con i quali i coniugi decidono di regolamentare i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento delle nozze.
In Italia non esiste una normativa che preveda espressamente i patti prematrimoniali.
Negli anni, la giurisprudenza ha però qualificato i patti prematrimoniali ed indicato i casi in cui possano avere efficacia anche nel nostro ordinamento.
L’ordinanza – in commento – n. 20415/2025 della Suprema Corte di Cassazione li elenca in modo preciso.
La vicenda
La vicenda all’esame della Suprema Corte di Cassazione riguarda la domanda di nullità, per contrarietà all’ordine pubblico e a norme imperative di legge, quali gli artt. 143 e 160 c.c., di un patto.
Con il patto – sottoscritto in corso di matrimonio – due coniugi avevano formalizzato un accordo riguardante la gestione di alcuni loro beni e crediti in caso di divorzio.
In particolare, il marito aveva riconosciuto che la moglie avesse contribuito al benessere della famiglia:
- con il proprio stipendio
- con il pagamento del mutuo contratto per la ristrutturazione dell’appartamento solo a lui intestato.
Inoltre, il marito aveva riconosciuto che la somma depositata nel conto corrente comune provenisse dall’eredità dei di lei genitori.
A fronte di tali dichiarazioni, i coniugi avevano convenuto che, in caso di separazione:
- il marito sarebbe divenuto debitore nei confronti della moglie della somma di oltre Euro 145.000,00
- la moglie avrebbe rinunciato, in suo favore, ad alcuni beni mobili (imbarcazione, arredo dell’appartamento, somme di denaro depositate in conto corrente).
La sentenza di primo grado
Il Tribunale ha respinto la domanda proposta dal marito nei confronti della moglie separata e volta a sentire accertare la nullità, per contrarietà all’ordine pubblico e a norme imperative di legge, e quindi la validità dei patti prematrimoniali.
Il Tribunale ha invece accolto la domanda riconvenzionale della moglie.
Ha dichiarato la validità ed efficacia della scrittura privata e, con ordinanza ex art.186 ter c.p.c., ha condannato il marito al pagamento della somma indicata nella scrittura.
Il ricorso in appello
Il marito ha proposto ricorso in appello.
I giudici d’appello hanno affermato che siano pienamente validi gli accordi tra i coniugi che vogliano regolamentare i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento del matrimonio.
Tale evento costituisce una mera condizione sospensiva apposta al contratto, poiché sono espressione della loro autonomia negoziale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c.
L’obbligazione restitutoria assunta dal marito trova la sua ragion d’essere, una volta verificatasi la separazione, nel riequilibrio delle risorse economiche che i coniugi avevano voluto reciprocamente assicurarsi.
Non ha invece a che fare con il diritto/dovere di assistenza morale e materiale durante il matrimonio.
Il marito ha proposto ricorso in cassazione.
L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione
Per la Suprema Corte, la giurisprudenza di legittimità in materia ha via via valorizzato l’autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi.
Ed oggi viene riconosciuta ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi del loro vincolo matrimoniale.
La piena validità all’accordo tra i coniugi deriva dalla sua qualificazione quale “contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322 comma II c.c.
Il fallimento del matrimonio non è causa genetica dell’accordo, ma mero evento condizionale“.
Sempre secondo la Corte “è valido il mutuo tra coniugi nel quale l’obbligo di restituzione sia sottoposto alla condizione sospensiva dell’evento, futuro ed incerto, della separazione personale.
Non vi è alcuna norma imperativa che renda tale condizione illecita agli effetti dell’art. 1354 comma I c.c.“.
L’evoluzione giurisprudenziale
La Suprema Corte ha preso spunto dal caso concreto per tracciare l’iter dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia di validità dei patti prematrimoniali.
La Corte ha osservato che, in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incida sul vincolo matrimoniale.
Ma sull’accordo tra i coniugi, realizza – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno, attesa la natura negoziale dello stesso.
E’ superata la concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei suoi singoli componenti.
I coniugi possono quindi concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, sia gli aspetti patrimoniali che quelli personali della vita familiare (affidamento dei figli, modalità di visita, etc.).
In tema di contribuzione per i bisogni della famiglia, durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a concorrere in misura proporzionale alle proprie sostanze.
A seguito della separazione, non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese così sostenute in modo indifferenziato.
Ma il menzionato principio è suscettibile di deroga, tramite un accordo contrattuale tra le stesse parti.
Ciò in quanto così possono meglio rispecchiarsi le singole capacità economiche di ciascun coniuge o modulare forme di generosità spontanea tra i coniugi.
Per la Cassazione non c’è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro.
Nè di subordinarne la restituzione all’evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale o del divorzio.
Potete leggere il testo integrale dell’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico e l’avv. Riccardo Spreafico.
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