La rilevanza penale dei likes sui social networks.
E’ un tema di cui si discute da tempo e che non sempre ha trovato univoca soluzione.
Recentemente, la Corte di cassazione ha affrontato il problema nell’ottica della prevenzione dell’odio raziale, indicando quali siano i presupposti di legge perchè i likes sui social networks assumano rilevanza penale.
Di seguito, gli aspetti salienti della sentenza.
Il caso
La vicenda ha preso spunto dai likes dati da un utente di Facebook ad alcuni posts con contenuti antisemiti; e dalla condivisione degli stessi posts sulla sua bacheca.
A seguito della sua individuazione, il Tribunale competente gli ha applicato una misura cautelare.
L’utente ha promosso ricorso contro l’applicazione della misura, con due motivi.
Si è difeso citando la teoria secondo cui i “like” siano una semplice espressione di gradimento.
E non possano dimostrare né l’appartenenza ad un gruppo nazifascista né la condivisione degli scopi illeciti.
La Corte di cassazione ha respinto le sue argomentazioni difensive.
Le motivazioni della Cassazione
Occorre precisare che l’ambito decisionale della Corte era quello cautelare: ossia della valutazione delle misure che riducono la libertà personale.
Ambito in cui la condotta viene valutata in relazione agli “indizi di reato“.
Per la Corte, i likes sui posts con contenuti illeciti pubblicati nei social network costituiscono un grave indizio di reato.
Il gradimento non solo dimostra – incrociato con altre evidenze – l’adesione ai messaggi illeciti; ma contribuisce alla loro maggiore diffusione.
La Cassazione ha tenuto in considerazione che i social networks, come Facebook, considerano rilevanti i «like» grazie ad un algoritmo che permette di far arrivare un contenuto a molte più persone.
La diffusione di un post, infatti, è tanto più alta quanto maggiore è la portata di interazioni, commenti, condivisioni.
Dunque, una persona che metta un like a un post si rende responsabile della possibilità che quel post o quel commento abbia una maggiore visibilità anche presso altri utenti.
In virtù di questo fatto, dunque, anche la semplice interazione può essere annoverata tra gli indizi che concorrono alla costruzione dell’accusa per il reato di istigazione all’odio.
I social, infatti sono “equiparati al mezzo pubblico” per la dirompente carica del messaggio: un post pubblicato sul web, infatti, ha le medesime possibilità di raggiungere la massima notorietà e viralità sia che provenga da un account “famoso” che di uno sconosciuto, ovunque essi fisicamente si trovino.
E’ quindi opportuno valutare sempre attentamente dove si mettono i propri “likes”.
Potete leggere il testo integrale della sentenza QUI →
Per la relativa consulenza od assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.