E’ discriminatorio il licenziamento per comporto del disabile

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La Corte di Cassazione ha ribadito che possa essere discriminatorio il licenziamento per superamento del termine di comporto del disabile.

Benchè il tema non sia nuovo per la giurisprudenza di legittimità, è d’interesse il rilievo secondo il quale anche i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (c.d. CCNL) possano contenere disposizioni indirettamente discriminanti per le persone portatrici di handicap.

In questo articolo abbiamo quindi scelto di approfondire questo aspetto peculiare.

La nozione di disabilità

Per comprendere gli argomenti in trattazione, è innanzitutto necessario individuare la nozione di disabilità alla quale deve farsi riferimento.

Poichè le fonti normative che regolano la materia sono essenzialmente sovranazionali, deve farsi riferimento alla nozione individuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.

La Corte di Giustizia, in tema di lavoro, ha definito la nozione di handicap/disabilità, quale limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.

Le fonti normative

Come detto, la tutela contro la discriminazione basata sulla disabilità trova il suo principale fondamento nelle fonti sovranazionali.

Quelle principali sono le seguenti:

Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, la norma alla quale anche l’ordinamento interno italiano deve far riferimento è la Direttiva 2000/78/CE.

Discriminazione diretta ed indiretta

La Direttiva europea, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, ha indicato che la discriminazione possa essere fondata su una delle seguenti ragioni:

  • religione
  • convinzioni personali
  • handicap
  • età
  • tendenze sessuali.

L’art. 2 n. 2 della Direttiva 2000/78/CE ha fornito anche le indicazioni necessarie a comprendere cosa si intenda per discriminazione diretta e per discriminazione indiretta.

Sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga

Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone.

E’ però esclusa la discriminazione indiretta nei seguenti casi:

  • la disposizione, il criterio o la prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;
  • nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate per ovviare agli svantaggi provocati dalla disposizione, dal criterio o dalla prassi.
Il periodo di comporto

In merito ai contratto di lavoro, l’art. 2110 c.c. dispone che, in caso di malattia o infortunio o gravidanza o puerperio, il rapporto venga sospeso e che il datore di lavoro non possa licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il termine di conservazione del posto (c.d. termine di comporto) appositamente previsto dai singoli contratti collettivi nazionali di lavoro (c.d. CCNL).

In genere, i CCNL distinguono due ipotesi di comporto:

  • il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia di lunga durata
  • il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie.

Il periodo di comporto è generalmente indicato nella maggior parte dei CCNL in 12 mesi; con possibilità di raggiungere una durata di 18/24 mesi (nell’arco di 3 anni solari) nel caso del comporto per sommatoria.

Nel caso in cui si accerti che la malattia sia imputabile ad un comportamento illecito del datore di lavoro (è il caso degli infortuni sul lavoro), va ricordato che i giorni relativi non rientrino nel computo del periodo di comporto.

Va infine precisato che la Corte di Cassazione abbia recentemente affermato (sent. 6 Giugno 2024, n. 15845) che le giornate di accesso al pronto soccorso debbano essere escluse dal computo del periodo di comporto qualora nel CCNL siano indicate “assenze dovute al ricovero ospedaliero” e/o “il day hospital”.

Il fatto storico

La vicenda dalla quale ha preso spunto la Corte di Cassazione riguarda il licenziamento per superamento del periodo di comporto di una lavoratrice affetta da carcinoma.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dichiarato nullo, perché discriminatorio, il licenziamento intimato alla dipendente per superamento del periodo di comporto.

La Corte d’Appello, in particolare, ha ritenuto fosse stata integrata una discriminazione indiretta.

Ciò in quanto il datore di lavoro non avrebbe attuato un regime differenziato, ai fini del computo del periodo di comporto, con riguardo alle malattie connesse allo stato di disabilità.

Avrebbe dovuto escludere dal calcolo rilevante ai fini del comporto i giorni di assenza per malattia correlati allo stato di disabilità della dipendente.

Il datore di lavoro è ricorso per la cassazione della sentenza, sostenendo di aver applicato le norme del CCNL di riferimento in tema di durata del periodo di comporto.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato la questione richiamato le normative sovranazionali applicabili in materia di discriminazione sul lavoro.

Ed affermando che la definizione di discriminazione indiretta contenuta nella Direttiva UE osti a una normativa nazionale che consenta il licenziamento di un lavoratore in ragione di assenze intermittenti dal lavoro, sebbene giustificate, nella situazione in cui tali assenze sono dovute a malattie imputabili alla disabilità di cui soffre.

L’unica eccezione è costituita dalla verifica della (legittima) lotta contro l’assenteismo.

Ciò in quanto un lavoratore disabile, rispetto ad un lavoratore non affetto da disabilità, è in linea di principio maggiormente esposto al rischio di accumulare un numero più elevato di assenze a causa della malattia collegata alla sua disabilità, e quindi di raggiungere i limiti massimi di conservazione del posto di lavoro.

Per la Corte, una normativa che fissi limiti massimi di malattia in maniera identica per lavoratori disabili e non, in vista del recesso datoriale, è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili.

E, quindi, a comportare una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità.

Pertanto, il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell’assetto dei rispettivi diritti e obblighi in materia.

In concreto, l’applicazione del periodo di comporto breve come per i lavoratori non disabili, costituisce una condotta datoriale indirettamente discriminatoria.

Perciò, deve essere vietata.

CCNL e discriminazione indiretta

La Corte di Cassazione ha inoltre affermato che anche la contrattazione collettiva possa contenere previsioni discriminatorie.

In particolare, per la Corte il CCNL che stabilisca un identico periodo di durata del comporto per tutti i lavoratori, senza prendere in specifica considerazione la posizione di svantaggio del disabile e senza adottare gli accomodamenti ragionevoli prescritti dalla Direttiva 2000/78/CE, realizza una discriminazione indiretta.

Il solo al fattore temporale, cioè quello della durata della malattia, non prende in considerazione lo status complessivo di salute del soggetto a cui è riferibile la medesima, né se la stessa comporti o meno una “limitazione funzionale di lunga durata”.

La mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, connessi alla disabilità, trasforma il criterio apparentemente neutro del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio.

Pertanto, l’applicazione pedissequa da parte del datore di lavoro della disposizione del CCNL relativa alla durata massima del periodo di conservazione del posto per malattia (c.d. periodo di comporto) può dissimulare una condotta discriminatoria nei confronti del lavoratore disabile, qualora non contempli una distinzione sulla base della specifica “situazione di svantaggio”.

Resta intatta l’esigenza di individuare un limite massimo in termini di giorni di assenza per malattia anche per il lavoratore disabile.

Una simile scelta discrezionale del legislatore o delle parti sociali per quanto di competenza, anche ai fini di combattere fenomeni di assenteismo per eccessiva morbilità, integra infatti una finalità legittima di politica occupazionale.

Tuttavia, tale legittima finalità deve essere attuata con mezzi appropriati e necessari; e quindi proporzionati.


Potete approfondire “Il tema della disabilità nel contesto normativo italiano ed internazionale” leggendo la specifica documentazione dei servizi e degli uffici della Camera QUI →

Se desiderate approfondire il tema, potete leggere il testo integrale dell’ordinanza della Corte di Cassazione QUI →

Per la relativa consulenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo o per la assistenza, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

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