Caparra e recesso per inadempimento
Il recesso per inadempimento
Per comprendere la problematica trattata dal Tribunale di Torino, occorre inquadrare l’ambito normativo del quale si tratta.
In primo luogo, occorre ricordare quando un contratto possa essere risolto per inadempimento.
Ci soccorre l’art. 1453 c.c. che così prevede:
Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
La caparra confirmatoria
In secondo luogo, e sempre per comprendere la problematica trattata dal Tribunale di Torino, occorre ricordare cosa il Codice Civile intenda per “caparra confirmatoria“.
Per l’art. 1385 c.c. la caparra confirmatoria è la somma di denaro che una parte consegna all’altra, al momento della conclusione del contratto, che in caso di adempimento deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo – ossia, trattenendo – la caparra.
Se invece è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, l’altra parte (adempiente) può recedere dal contratto ed esigere il pagamento di una somma doppia di quella versata a titolo di caparra.
In entrambi i casi, l’inadempimento deve essere di “non scarsa importanza“.
La parte non inadempiente può domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto; in tal caso, può anche richiedere il risarcimento dei propri danni.
Il fatto storico
Inquadrato normativamente il tema del rapporto tra caparra e recesso per inadempimento, va analizzato il fatto sottoposto al giudizio del Tribunale Ordinario di Torino.
La questione ha riguardato la sottoscrizione di un contratto preliminare di compravendita, in virtù del quale la convenuta si era obbligata a vendere all’attrice l’immobile composto da appartamento ad uso ufficio.
Il prezzo di vendita era stato concordato in Euro 362.000,00, oltre IVA e, contestualmente alla sottoscrizione del preliminare, era stata versata la somma di Euro 50.000,00 a titolo di caparra confirmatoria.
Il termine per il rogito dell’atto definitivo, inizialmente fissato al 30.06.2022 era stato prorogato di comune accordo al 15.09.2022, termine che le parti avevano stabilito espressamente dovesse intendersi essenziale ai sensi di legge.
A fronte della proroga del termine per la stipula dell’atto di vendita:
- la promissaria acquirente (attrice) ha versato l’ulteriore somma di Euro 25.000,00 a titolo di caparra confirmatoria
- la promittente venditrice (convenuta) si è obbligata a garantire l’assoluta regolarità urbanistica dell’immobile, a consegnare il certificato di abitabilità, a rendere conformi allo stato di fatto le planimetrie catastali, nonché a garantire perfetta coerenza catastale degli immobili.
L’atto di compravendita non era stato però stipulato nel termine essenziale del 15.09.2022, in quanto persistevano irregolarità catastali, non era stato consegnato il certificato di abitabilità ed erano emerse altre irregolarità catastali ed urbanistiche.
Il contratto era stato quindi risolto ex art. 1457 c.c. per fatto imputabile esclusivamente a parte convenuta, inadempiente rispetto agli obblighi assunti con il preliminare.
La promittente venditrice, convenuta in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità della domanda attorea per illegittimo cumulo sia delle domande risolutorie con quelle di accertamento del recesso.
In particolare, ha sostenuto che non sia consentito il cumulo della risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c. e della dichiarazione di recesso ex art. 1385 c.c.
I precedenti giurisprudenziali
Il Tribunale di Torino, rilevato che la domanda principale proposta da parte attrice avesse ad oggetto l’accertamento e la dichiarazione della intervenuta risoluzione del contratto ex art. 1457 c.c. e la condanna della controparte alla restituzione del doppio della caparra, ha ritenuto di doversi interrogare sulla compatibilità della domanda di accertamento della intervenuta risoluzione di diritto del contratto con la domanda di restituzione del doppio della caparra.
Per il Tribunale, nel rapporto tra caparra e recesso per inadempimento, soccorrono l’ordinanza n. 18392/2022 della Suprema Corte di Cassazione ed i principi affermati dalla sentenza a Sezioni Unite n. 553/2009.
La Corte, con tali pronunce e con riferimento all’ipotesi in cui venga richiesto il pagamento del doppio della caparra a seguito della verificazione della risoluzione di diritto del contratto, ha precisato che ciò impedisce alla parte non inadempiente di formulare una dichiarazione di recesso dal contratto medesimo, essendo lo stesso già sciolto in virtù dell’effetto risolutorio già verificatosi.
La Suprema Corte ha precisato che in un’ipotesi siffatta non è precluso alla parte non inadempiente avvalersi della liquidazione anticipata e forfettaria del danno originariamente prevista con la caparra, esprimendo il seguente principio di diritto:
“In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicché la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio“.
La sentenza del Tribunale di Torino
Sulla scorta di tali indicazioni, il Tribunale di Torino ha accolto parzialmente le domande dell’attrice.
Per il Tribunale, essendo la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. una modalità di risoluzione di diritto del contratto analoga a quella prevista per la scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c., il principio così espresso può ritenersi senz’altro applicabile per analogia anche al caso in esame.
La circostanza che la parte invochi un effetto risolutorio già prodottosi in virtù della scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c. non impedisce infatti alla medesima parte di domandare il pagamento del doppio della caparra.
Potete leggere il testo integrale della sentenza del Tribunale Ordinario di Torino QUI →
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