Abusi edilizi e silenzio assenso

Tempo di lettura: 5 minuti
()

Il rapporto tra abusi edilizi e l’istituto del silenzio assenso è stato recentemente oggetto di una interessante sentenza del Consiglio di Stato.

Abbiamo quindi tratto lo spunto per analizzare le questioni più rilevanti nel presente articolo.

Il silenzio-assenso

Il c.d. “silenzio assenso” è un istituto espressamente previsto dalla Legge sul procedimento amministrativo (L. 7 Agosto 1990 n. 241).

Il comma I dell’art. 20 della L. 7 Agosto 1990 n. 241 così prevede:

nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda“.

L’art. 2 della L. 241/1990 sancisce che i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.

Le disposizioni dell’art. 20 della L. 7 Agosto 1990 n. 241 non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti:

  • il patrimonio culturale e paesaggistico
  • l’ambiente
  • la tutela dal rischio idrogeologico
  • la difesa nazionale
  • la pubblica sicurezza
  • l’immigrazione
  • l’asilo e la cittadinanza
  • la salute e la pubblica incolumità
  • ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali
  • ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza
  • agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.
Il procedimento per la sanatoria

In materia di edilizia ed urbanistica, si sono susseguite nel tempo diverse normative che hanno previsto la possibilità di ottenere la sanatoria di abusi e che hanno stabilito i procedimenti amministrativi da affrontare per ottenerla.

L’art. 35 della L. 28 Febbraio 1985 n. 47 prevede che alla domanda di sanatoria debbano essere allegati:

  • una descrizione delle opere per le quali si chiede la concessione o l’autorizzazione in sanatoria;
  • una apposita dichiarazione, corredata di documentazione fotografica, dalla quale risulti lo stato dei lavori relativi;
  • un certificato di residenza nonché copia della dichiarazione dei redditi;
  • un certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, da cui risulti che la sede dell’impresa è situata nei locali per i quali si chiede la concessione in sanatoria.

Inoltre, l’art. 35 della L. 28 Febbraio 1985 n. 47 prevede che la domanda debba essere corredata dalla prova dell’eseguito versamento dell’oblazione, nella misura dovuta.

Il Sindaco, esaminata la domanda di concessione o di autorizzazione, previ i necessari accertamenti, invita, ove lo ritenga necessario, l’interessato a produrre l’ulteriore documentazione.

Quindi determina in via definitiva l’importo dell’oblazione e rilascia la concessione o l’autorizzazione in sanatoria contestualmente alla esibizione da parte dell’interessato della ricevuta del versamento all’erario delle somme a conguaglio nonché della prova dell’avvenuta presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria ai fini dell’accatastamento.

In caso opposto, il diniego di sanatoria è notificato al richiedente.

Ogni controversia relativa all’oblazione è devoluta alla competenza dei Tribunali Amministrativi Regionali; i quali possono disporre dei mezzi di prova.

La vicenda

La vicenda in esame riguarda una serie di dieci istanze di condono presentante nel 2004 da una Società proprietaria di un compendio immobiliare costituito da fabbricato e terreno circostante, edificato in forza di due concessioni edilizie del 1995, dove nel corso del tempo erano state realizzate varianti non autorizzate.

Il Comune aveva chiesto documentazione integrativa per nove delle dieci pratiche edilizie, che la Società aveva riscontrato con due invii nel corso del 2005.

Ne era seguita un’ulteriore richiesta di integrazione da parte del Comune nel 2011, alla quale la Società aveva replicato che le pratiche risultavano a suo avviso già completate con l’integrazione del 2005.

Il Comune aveva quindi inviato alla Società il preavviso di diniego, evidenziando la persistente incompletezza della documentazione per sette pratiche edilizie e l’improcedibilità per due pratiche trattanti opere eseguite senza assenso su aree di proprietà comunale.

Il Comune aveva quindi concluso per la sussistenza delle motivazioni previste dall’art. 40 comma 1 della L. n. 47 del 1985 per la rilevanza della inadempienza riscontrata per l’incompletezza documentale accertata e per le inesattezze riscontrate nelle istanze in oggetto tali da dover ritenere le domande dolosamente infedeli, respingendo definitivamente le istanze di condono.

Il ricorso al TAR Lombardia

La Società aveva quindi impugnato il diniego di condono dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, che con sentenza lo aveva parzialmente accolto, annullando il provvedimento comunale limitatamente a due pratiche edilizie ed osservando quanto alle altre otto che non poteva ritenersi formato il silenzio-assenso in quanto l’incompletezza delle domande di condono comportava il difetto di uno dei presupposti per la formazione del titolo.

L’appello

La Società ha proposto appello contro la sentenza del TAR Lombardia, articolando principalmente un motivo di censura e sostenendo che l’art. 35 della L. n. 47 del 1985 stabilirebbe la perentorietà del termine assegnato al privato dall’Amministrazione Pubblica per effettuare l’integrazione della pratica e non consentirebbe alla stessa di richiedere l’integrazione “per tappe successive“, posto che gli artt. 2 e 6 della L. n. 241 del 1990 prevedrebbero che il procedimento amministrativo possa essere interrotto una sola volta per richiedere al privato eventuali integrazioni documentali.

Il Collegio ha ritenuto che “il punctum pruriens della presente vicenda contenziosa è costituito dalla completezza o meno dell’ampia documentazione a corredo di otto domande di condono e l’esatto calcolo dell’oblazione“.

E’ necessario sgombrare il campo da dubbi tecnici circa tali due punti centrali, atteso che l’eventuale fondatezza dell’assunto principale fatto proprio dalla parte appellante renderebbe superflua ogni altra indagine sulla legittimità degli ulteriori elementi che sorreggono giuridicamente il provvedimento comunale impugnato”.

Pertanto, il Collegio ha ritenuto indispensabile un approfondimento istruttorio tecnico, attraverso una verificazione.

Le risultanze della verificazione in ordine ai punti centrali delle deduzioni hanno dimostrato la legittimità del diniego dei condoni da parte del Comune.

Le motivazioni del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover preliminarmente scrutinare la doglianza con la quale la Società appellante aveva ritenuto l’illegittimità delle richieste istruttorie operate dal Comune nel corso dei procedimenti di condono.

Il Collegio ha affermato che per la formazione tacita del titolo non siano sufficienti l’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione e l’adempimento degli oneri documentali ed economici stabiliti dalla legge, ma occorra anche la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità della sanatoria.

Il meccanismo stesso del silenzio-assenso, quale misura di semplificazione amministrativa, postula una domanda di parte completa e corredata da tutta la documentazione necessaria; senza della quale l’assenso si formerebbe tacitamente su di un oggetto indeterminato o comunque non sufficientemente definito.

Tale precisazione vale tanto più nell’ambito dei procedimenti di condono dove la giurisprudenza adotta un metro più rigoroso nella valutazione della completezza della documentazione, cui subordinare l’operatività del silenzio-assenso.

Pertanto, la richiesta di integrazione da parte del Comune deve ritenersi ragionevole e proporzionata, essendo soprattutto – alla luce delle riscontrate massive carenze documentali – volta a poter valutare la domanda di condono (e non respingerle in quanto inammissibili).

Laddove l’esame della pratica necessiti, nel singolo caso, di ulteriore documentazione, non può disconoscersi il potere in tal senso dell’amministrazione comunale, e porre nel nulla la sua richiesta di integrazione.

Va infine ricordato che la carenza documentale, nell’ottica della leale e reciproca cooperazione procedimentale di cui alla L. n. 241 del 1990, possa dar luogo a una declaratoria di improcedibilità dell’istanza del privato solo laddove la P.A. abbia preliminarmente formulato al soggetto interessato una specifica richiesta di integrazione della documentazione necessaria.


Potete leggere il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato QUI →

Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

Le informazioni contenute in questo articolo sono soggette a termini e condizioni, consultabili QUI →

(tona alla pagina delle notizie)


Ti è stata utile la lettura di questo articolo?

Clicca sulle stelle per dare un voto.

Media del voto / 5. Numero dei voti:

Sii il primo ad esprimere un voto.

Se ti è stata utile la lettura dell'articolo...

Seguici sui nostri social media!

×