La sentenza del TAR del Lazio contro REPORT fa discutere per i profili inerenti la possibile violazione del diritto all’informazione.
La vicenda balzata agli onori della cronaca riguarda la trasmissione di RAI 3 “REPORT” andata in onde nel mese di Ottobre 2020 che indagava sugli appalti pubblici in Lombardia.
Il TAR del Lazio, con la recente sentenza n. 7333 del 18 Giugno 2021, ha autorizzato una delle persone citate nel servizio ad ottenere l’accesso agli atti della trasmissione.
La RAI ha già annunciato che impugnerà davanti al Consiglio di Stato la decisione del TAR.
Cerchiamo di comprendere meglio la questione.
Il segreto professionale
Il nostro ordinamento prevede il segreto professionale per determinate categorie di lavoratori.
Ma con alcune differenze tra il segreto professionale dei giornalisti e quello degli altri professionisti.
La tutela del segreto professionale viene tradizionalmente fatto risalire all’art. 622 c.p.
In forza delle norme in vigore sono tenuti a non divulgare notizie ricevute sotto l’impegno del segreto professionale:
- medici e chirurghi
- avvocati
- sacerdoti
- notai
- consulenti tecnici
- farmacisti
- ostetriche
- dottori e ragionieri commercialisti
- consulenti del lavoro
- dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze.
I giornalisti sono invece eticamente obbligati a rendere pubbliche le notizie ricevute, ma sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie quando ciò sia richiesto dalla fonte fiduciaria di esse.
In sostanza, i primi non divulgano le notizie; mentre i giornalisti devono pubblicare le notizie, tutelandone però la fonte.
La tutela delle fonti del giornalista
La tutela delle fonti del giornalista rappresenta un pilastro della professione, perché strettamente strumentale a garantire il diritto di informazione.
Per tali ragioni, il diritto (della libertà) di informazione è tutelato sia dall’art. 21 della nostra Costituzione che dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il divieto di divulgare la fonte della notizia è un principio giuridico, che ha festeggiato i 40 anni nel 2003.
Giornalisti ed editori, in base all’art. 2 comma III della Legge professionale n. 69/1963, “sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”.
Anche l’art. 13 comma V della Legge sulla privacy n. 675/1996 tutela il segreto dei giornalisti sulla fonte delle notizie, quando afferma che “restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia”.
La violazione della regola deontologica del segreto sulla fonte fiduciaria comporta responsabilità disciplinare (art. 48 della Legge n. 69/1963).
I limiti al segreto
Il rispetto della segretezza della fonte fiduciaria della notizia non è però assoluto.
L’art. 200 del Codice di procedura penale stabilisce, per quanto concerne il rapporto tra obbligo a deporre avanti al giudice e segreto professionale, che il giornalista può opporre il segreto professionale sui nomi delle persone dalle quali egli ha avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della professione.
Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata soltanto attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
Il segreto professionale può, quindi, essere rimosso per ordine del giudice alle seguenti condizioni:
a) la notizia che proviene dalla fonte fiduciaria sia indispensabile ai fini della prova del reato per cui si procede;
b) l’accertamento della veridicità della notizia possa avvenire soltanto tramite l’identificazione della fonte fiduciaria.
Le motivazioni della sentenza del TAR del Lazio contro Report
In questo ambito caratterizzato da diriti costituzionali, limiti, tutele, norme deontologiche, s’è mosso il TAR del Lazio.
Il presupposto – secondo il ricorrente – è costituito dal fatto che nel contesto del servizio di Report sarebbero state riportate “notizie false e fuorvianti“.
Per questo motivo ha chiesto “l’ostensione del materiale informativo necessario per poter promuovere iniziative a tutela del suo buon nome dinanzi alle competenti Autorità giudiziarie e amministrative“.
A tale richiesta, la RAI ha opposto “diniego integrale all’istanza di accesso avanzata“.
I giudici amministrativi hanno osservato che la “deduzione del ricorrente sul punto è di essere stato oggetto, nel corso del servizio mandato in onda, di una rappresentazione connotata in senso negativo fondata su informazioni false e fuorvianti, in quanto sarebbe stato indicato come riferimento soggettivo di un intreccio di rapporti quantomeno opachi, lamentando la conseguente grave lesione dell’immagine e della reputazione del ricorrente stesso, nonchè del suo studio legale“.
Valutate tali ragioni, il TAR ha affermato che nella “prospettiva delineata va ritenuta suscettibile di ostensione nel caso in esame la documentazione connessa all’attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni riguardanti le prestazioni di carattere professionale svolte dal ricorrente in favore di soggetti pubblici, confluite nell’elaborazione del contenuto del servizio d’inchiesta giornalistica mandato in onda, nello specifico avente ad oggetto la rete di rapporti di consulenza professionale instaurati su incarico di enti territoriali e locali“.
Ha quindi spiegato il Collegio che la “delimitazione in siffatti termini della documentazione ostensibile, coinvolgendo l’interlocuzione intercorsa con soggetti di natura pubblica, rende priva di rilievo nel caso concreto la prospettazione difensiva articolata dalla società resistente circa la prevalenza che dovrebbe riconoscersi al segreto giornalistico sulle ‘fontì informative per sostenere l’esclusione ovvero la limitazione dell’accesso nel caso di specie“.
Il dispositivo della sentenza
Con la sentenza, il TAR del Lazio ha quindi accolto la richiesta di accesso agli atti, subordinandola ai seguenti limiti:
a) la RAI dovrà consentire al ricorrente l’accesso agli atti e ai documenti sopra individuati;
b) l’accesso dovrà essere consentito unicamente agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati.
Inoltre, nel caso in cui taluni degli atti non siano stati oggetto di documentazione, la RAI dovrà fare menzione di tale circostanza.
La reazione di REPORT e dei giornalisti
Il conduttore di REPORT, Sigfrido Ranucci, ha subito criticato la sentenza, sottolineando che “anche l’ostensione degli atti riguardanti una semplice trasferta comunque porterebbe a rintracciare le fonti e, dunque, anche questo non è consentito”.
Ed ha aggiunto di essere invece disponibile “a rendere ostensibile la lettera che abbiamo mandato a Mascetti nella quale gli chiedevamo conto delle sue consulenze e se fosse vero che avesse un ruolo occulto all’interno della Lega. Lui ha smentito – conclude Ranucci – ma ciò che abbiamo mostrato nel nostro servizio testimonia il contrario“.
Tutte le associazioni dei giornalisti si sono strette attorno al conduttore di REPORT, portando la loro solidarietà professionale e chiedendo che la RAI ricorra avverso la sentenza emessa dal TAR.
Le domande che si pongono i giornalisti sono sostanzialmente due:
- se dovesse passare il principio espresso dal TAR, quale fonte si affiderebbe più a REPORT o a un altro giornalista del servizio pubblico?
- se si dovesse applicare il principio di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione anche all’informazione, non si creerebbe una disparità tra giornalisti del servizio pubblico e quelli legati ad editori privati?
Occorrerà attendere la pronuncia del Consiglio di Stato, al quale la RAI ha già dichiarato di voler ricorrere, per comprendere sino a che punto può essere garantita la riservatezza delle fonti.
Per un ulteriore approfondimento, potete leggere il testo della sentenza →