Il nuovo delitto di femminicidio

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I punti chiave (c.d. Key Takeaways)
  • Il nuovo delitto di femminicidio è stato introdotto nel Codice penale italiano il 25 novembre 2025, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne.
  • La Convenzione di Istanbul ha influito sulla scelta dei legislatori di introdurre nuovi reati a presidio della violenza di genere, introducendo definizioni chiare e principi di protezione.
  • La nuova norma prevede la pena dell’ergastolo per gli omicidi commessi con motivazioni di odio e discriminazione nei confronti delle donne.
  • Sono emersi dubbi di costituzionalità riguardo al trattamento differenziato tra omicidi di uomini e donne, in relazione al principio di eguaglianza.
  • La questione potrebbe essere portata alla Corte Costituzionale per valutare la conformità del fattispecie di femminicidio al sistema giuridico italiano.

In data 25 Novembre 2025 – contestualmente alla celebrazione della “Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne” – è stato introdotto all’interno del Codice penale il nuovo delitto di femminicidio (art. 577-bis c.p.).

In questo articolo approfondiamo la genesi della nuova fattispecie; concludendo poi con i dubbi di costituzionalità già sollevati da alcuni interpreti.



La Convenzione di Istanbul

L’evoluzione della normativa italiana in materia di violenza sulle donne ha il proprio caposaldo nella ratifica della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011, sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

La presente si è posta l’obiettivo di:

  • proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica
  • contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne
  • predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica
  • promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica
  • sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.
Le definizioni introdotte della Convenzione di Istambul

La Convenzione di Istambul ha consentito di introdurre in Europa concetti condivisi non solo sulla prevenzione, ma sull’individuazione dei beni da proteggere fornendo una serie di precise definizioni.

Con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” la Convenzione ha inteso designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica.

Sono comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

Con l’espressione “violenza domestica” la Convenzione ha inteso designare tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

L’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa quindi qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato.

Dalla Convenzione di Istambul al reato di femminicidio

A seguito della ratifica della Convenzione di Istambul, l’Italia ha compiuto una serie di interventi volti a istituire una strategia integrata per combattere la violenza di genere.

Il D.L. n. 93 del 2013, adottato a pochi mesi di distanza dalla ratifica della Convenzione, ha apportato rilevanti modifiche in ambito penale e processuale, prevedendo altresì l’adozione periodica di Piani d’azione contro la violenza di genere.

Il provvedimento che più ha inciso nel contrasto alla violenza di genere è la Legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso), che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica; ha introdotto alcuni nuovi reati nel codice penale ed inasprito determinate pene.

Infine la Legge n. 122 del 2023, che interviene su uno degli aspetti caratterizzanti la procedura da seguire nei procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere: l’obbligo per il Pubblico Ministero di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

In ambito comunitario, è stata emanata la Direttiva UE 1385/2024 in materia di norme minime comuni per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica nell’Unione europea.

Il delitto di femminicidio

In questo quadro normativo in costante evoluzione, il legislatore italiano ha infine introdotto nel Codice penale l’art. 577 bis, in materia di femminicidio.

La norma prevede una fattispecie autonoma e speciale di omicidio, incentrata sulle qualità della persona offesa.

L’art. 577 bis comma I c.p. sanziona, con la pena dell’ergastolo, le condotte preordinate a cagionare la morte di una donna, come atto di discriminazione, odio, prevaricazione, nonché attraverso atti di controllo, possesso o dominio verso la persona offesa in quanto donna, ovvero l’omicidio commesso in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali.

Fuori da tali casi, si applica l’art. 575 c.p.: ossia le pene ordinariamente previste per il delitto di omicidio.

Di seguito ed al fine di permetterne la corretta comprensione dell’oggetto della nuova fattispecie, approfondiamo le singole condotte punite dalla norma (molte delle quali riprendono condotte tipizzate in altre norme del Codice penale).

Le condotte compiute come atti di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atti di controllo o possesso o dominio sulla vittima in quanto donna

Le nozioni di atti discriminazione ed atti di odio erano già presenti nel Codice penale all’art. 604-bis c.p.

Le condotte previste dall’art. 577 bis c.p. sono integrate non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti al genere “donna”.

Ma solo da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di commissione diretta di comportamenti discriminatori nei confronti delle donne in quanto tali.

Anche per quanto riguarda le condotte di prevaricazione è possibile richiamare i principi elaborati nell’ambito del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.).

Nello specifico, le condotte di prevaricazione fisica o morale sono quelle in grado di ledere l’integrità psico-fisica della persona offesa all’interno di quei contesti di tipo familiare o di affidamento in cui la stessa dovrebbe ricevere protezione.

Con riferimento agli atti di possesso, controllo e dominio, tali modalità della condotta sono state enucleato nel delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).

L’omicidio commesso in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo

La nozione di relazione affettiva, all’interno del codice penale, è rinvenibile nella fattispecie di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).

Per “relazione affettiva” non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune; ma anche il legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione.

L’omicidio commesso come atto per limitare le libertà individuali della donna

Questa è la previsione che ha suscitato più discussioni tra i commentatori, che hanno rilevato la disposizione operi un rinvio indistinto a tutti i diritti ed alle libertà della persona offesa.

Si paventa il rischio che il Giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito.

Inoltre, vi sia il rischio che, nel garantire la libera autodeterminazione individuale, non sia permesso al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta.

La pena

In ultimo, una parola va spesa per la pena.

Il delitto di femminicidio viene punito con la pena fissa dell’ergastolo.

Inoltre, è fatto divieto di diminuire la pena sotto i ventiquattro anni di reclusione quando ricorra una sola circostanza attenuante.

La pena detentiva perpetua ha, quale corollario, l’inapplicabilità del giudizio abbreviato; oltre ad una serie di altre conseguenze e limiti per gli imputati / condannati.

Rispetto alla pena prevista per l’omicidio (art. 575 c.p.), si tratta di un aggravamento significativo della sanzione penale e delle sue conseguenze, dirette ed indirette.

Dubbi di costituzionalità

La scelta di punire, differentemente, l’omicidio di un uomo rispetto a quello di una donna, ha sollevato parecchi dubbi.

I primi commentatori hanno infatti sostenuto che vi siano dubbi di costituzionalità per il delitto di femminicidio.

In particolare, i dubbi riguardano il rispetto del principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.), per il quale “Tutti i cittadini (…) sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso“.

Ad opinione di una cospicua fetta della dottrina, sembrerebbe che il nuovo art. 577 bis c.p. comporti una ingiustificata disparità di trattamento sanzionatorio per situazioni simili.

Si pensi, ad esempio, al caso di una donna che uccida una persona di sesso maschile come atto di odio verso la persona offesa “in quanto uomo”.

Tale previsione non sarebbe acquisirebbe un maggior disvalore; nè sarebbe punita più gravemente.

Non troverebbe quindi giustificazione, sul piano valoriale, la differente tutela del bene vita in ragione del genere femminile della vittima.

La questione potrebbe essere portata innanzi la Corte Costituzionale, alla quale spetterà il compito di valutare se il delitto di femminicidio sia o meno conforme all’impianto costituzionale esistente nel nostro Paese.


Potete leggere il testo integrale del dossier predisposto da Servizio Studi del Senato QUI →

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