Il danno da inquinamento

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La Corte di Cassazione ha recentemente emesso un’ordinanza che tratta il danno da inquinamento ambientale.

In particolare, il tema riguarda il rapporto tra possibilità logica ed accertamento del nesso di causalità tra il fatto dannoso e il danno subito.

E’ un argomento certamente complesso, che abbiamo approfondito e semplificato per permetterne una facile comprensione.

L’inquinamento

Innanzitutto, è necessario individuare cosa si intenda per inquinamento e per danno da inquinamento.

L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, naturale o dovuta ad antropizzazione, da parte di elementi inquinanti.

Può essere di origini diverse:

  • chimica
  • fisica
  • biologica.

Si individuano quattro tipologie principali di inquinamento:

  • dell’aria (o atmosferico)
  • dell’acqua (o idrico)
  • del suolo
  • acustico.

L’inquinamento può causare danni all’ambiente ed alle persone che vivono in quell’ambiente.

Il danno ambientale

La definizione di danno ambientale è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 300 del D.Lgs. 152/2006, che così prevede:

È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.

Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:

  • alle specie e agli habitat naturali protetti
  • alle aree naturali protette
  • alla flora ed alla fauna selvatiche
  • alle acque interne
  • alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale
  • al terreno.

L’inquinamento può quindi produrre in una data area situazioni di danno temporanee o permanenti; così come patologie o danni permanenti per la vita delle persone, degli animali e dell’habitat.

Il fatto storico

La vicenda portata all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria riguarda la richiesta di risarcimento per danni da malformazione conseguenti ad inquinamento.

Tali danni sarebbero stati patiti a causa e quale conseguenza della immissioni ambientali di sostanze nocive nell’ambito delle lavorazioni di una raffineria.

L’adito Tribunale ha disposto una consulenza tecnica al fine di verificare se gli inquinanti industriali:

  • abbiano avutoeffetti avversi sulla riproduzione, agendo con un’azione mutagena preconcezionale (per esposizione materna o paterna)
  • abbiano avuto un’azione postconcezionale
  • abbiano svolto e/o svolgono azione di teratogeni, ovvero di sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione e penetrazione cutanea, possano aver prodotte malformazioni congenite non ereditarie o aumentarne la frequenza.

Ciò al fine di determinare la sussistenza del nesso di causalità tra tra l’evento dannoso e le lesioni fisiopsichiche derivatene.

All’esito della CTU, il Tribunale ha rigettato le domande, ritenendo non sussistente il danno da inquinamento.

Il giudizio d’appello

Così pure la Corte di Appello, adita a seguito di ricorso.

Per la Corte, difettava una legge universale che consentisse di imputare con certezza scientifica la patologia sofferta dall’appellante alle sostanze nocive emesse dagli stabilimenti.

Dalla relazione di CTU poteva solo evincersi che l’attività della raffineria era certamente fonte di inquinamento ambientale.
Ma in assenza di studi scientifici definitivi in materia, non potesse ritenersi sussistente la rilevante probabilità che dette immissioni nocive fossero pure state la causa specifica delle malformazioni patite dal ricorrente.

In particolare, veniva in rilievo almeno un’altra fonte di pericolo (ossia i pesticidi); unitamente al fumo attivo praticato dalla madre durante la fase iniziale della gestazione.

Benchè fosse quindi “possibile” un collegamento, per la Corte non era però accertato il nesso di causalità secondo la regola della “preponderanza dell’evidenza” (o del “più probabile che non“), mediante l’esclusione di spiegazioni causali alternative.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello è stato proposto ricorso per cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con una lunga e dettagliata motivazione, ha rigettato il ricorso.

Per la Corte, il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni, tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili.

Necessita invece di una concreta e specifica dimostrazione, che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell’eziologia.

E’, tuttavia, necessario acquisire il dato della “probabilità qualificata“‘, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.


Potete leggere il testo integrale dell’ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. III ord. 19 Maggio 2025 n. 13294) QUI →

Per la relativa consulenza od assistenza nell’ambito degli argomenti trattati in questo articolo, potete contattare l’avv. Andrea Spreafico.

Le informazioni contenute in questo articolo sono soggette a termini e condizioni, consultabili QUI →

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